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2016: Odissea nel mercato

Ore 8.30 del mattino. Entro in ufficio, non ho il tempo di salutare tutti che il collega nell’angolo della stanza mi lancia un’occhiata ed esordisce: “hai visto? Il Ponteammare ha preso Bombaccioni, che colpo!”. Sorrido. Pausa pranzo, nell’uscire per prendere un panino incontriamo un gruppo di quelli del piano di sopra da cui si stacca uno che viene dritto verso di me: “oh, ma secondo te ‘sto Amarildo De Moraes è buono o no? Io sui brasiliani sono scettico, meglio Citrulovic, è croato, ha più cultura sportiva”. Sorrido ancora, ma meno convinto. Torno a casa nel tardo pomeriggio, e mentre sono in ascensore mi arriva il messaggio di un amico: “secondo me facciamo un affare a vendere Estebàn Sangrìa, tutti quei soldi quando ce li offrono un’altra volta?”. Non sorrido più. Penso invece che il calciomercato ci sia sfuggito di mano.

In un famoso film di Stanley Kubrick del 1968, che non possiamo citare per motivi di diritti d’immagine (ma il titolo di quest’articolo può essere d’aiuto), viene raccontata l’evoluzione cosmica attraverso la presenza di un misterioso monolito nero. Metaforicamente, quell’enorme pietra è Internet: al pari degli ominidi del film, che prevalgono sui loro simili toccando quelle pareti, così gli utenti del web 2.0 hanno mutato il modo di fruire delle notizie di calciomercato attraverso l’utilizzo di mouse, tastiere e smartphone o tablet.

Il confronto con un passato nemmeno troppo remoto, parliamo di una quindicina d’anni fa, è impietoso. Un tempo l’approccio era giornaliero, nel senso che tra un bagno e l’altro si sfogliava il giornale, magari si chiedeva il quotidiano al vicino d’ombrellone se ne aveva uno diverso, e se proprio si voleva capire meglio quella frase sibillina scritta dal giornalista si faceva la pieghetta alla pagina interessata e si rileggeva tutto con calma, in un secondo momento. I pochi notiziari sportivi in televisione spesso non facevano altro che dare le notizie utilizzando le parole dei giornali stessi. Per apprendere cose nuove bisognava attendere l’indomani.

Con l’avvento di Internet è cambiato tutto. Nella maggior parte dei casi, i siti creano il proprio business sul numero di visualizzazioni, quindi più click equivale a più soldi, cosa non da poco per chi fa il giornalista di professione. Banalmente, per ottenere più visualizzazioni bisogna pubblicare più articoli, così parte la caccia a qualsiasi spunto potenzialmente interessante, dai profili social dei calciatori ai presunti scoop concessi dalle agenzie immobiliari, col rischio concreto di inseguire piste sterili o essere fuorvianti, se non addirittura divulgatori di notizie false. Per non parlare poi del più squallido click baiting, quello per intenderci usato da chi titola “Incredibile, non immaginerai mai cosa è successo a Napoli…”, laddove nell’articolo si parla di un gattino rimasto intrappolato in macchina.

Eppure, da che mercato è mercato, le trattative si fanno sempre allo stesso modo. Due società si mettono d’accordo per il trasferimento di un calciatore e quella che vuole acquistarlo gli propone un nuovo contratto. Se il calciatore accetta va via, altrimenti cerca un’altra sistemazione, oppure resta. Nel tempo, il mutato rapporto tra utente e mezzo d’informazione ha reso l’approccio alle notizie via via più nervoso e spasmodico. In molti casi le notizie non ci sono per niente, perché ciò che viene riportato come importante aggiornamento non è altro che la riproposizione arricchita di uno scampolo risalente alle settimane precedenti.

Ma chi è che mette in giro voci, le alimenta e le riprende quando sembravano assopite? Risposta: le fonti, cioè personaggi non meglio identificati che popolano i corridoi delle redazioni. A volte si qualificano come procuratori, altre come amici di amici, altre ancora come membri dello staff tecnico di questo o quell’addetto ai lavori. Nella maggior parte dei casi non sanno nulla, e probabilmente se pure sapessero non sarebbero autorizzati a parlare. Tuttavia fingono di sapere e parlano di cose a loro ignote. Si tratta di megalomani, gonfi di tracotanza finalizzata a promuovere una falsa immagine di sé nei confronti di interlocutori che nemmeno conoscono. Incarnano un vizioso esibizionismo, una peculiarità ancestrale e quasi insita nella natura umana.

Tra tutti i colleghi e gli amici con cui ho a che fare durante la giornata, quello che merita tutto il mio rispetto, oltre che piena solidarietà, l’ho incontrato durante la pausa caffè. Nella confusione generale, sapendo di non essere ascoltato da nessuno, mi si è avvicinato con aria furtiva, a capo chino, quasi vergognandosi, e mi ha sussurrato: “mi mancano le partite, non vedo l’ora che finisca il calciomercato”.

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Paolo Esposito è laureato in Economia Aziendale. Per lavoro si occupa di tax auditing con particolare attenzione al transfer pricing, al financial accounting e alle business restructuring. Tuttavia crede che di calcio sia meglio parlare in napoletano.
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