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Sarri, le mani avanti ed il giornalismo “di provincia”

“Abbiamo fatto un mercato di prospettiva, dipende quanto ci può costare questa prospettiva nel breve periodo. Sono arrivati giocatori di potenzialità, ma giovani e ci vorrà un po’ di pazienza. Vediamo se riusciamo a rimanere competitivi, ma questo mercato ha garantito sicuramente un grande futuro. Abbiamo perso Higuain ma abbiamo aumentato il valore globale della rosa, non so se nel breve periodo è migliorato quello assoluto. Settembre, ottobre e novembre ci sono le nazionali e poi 20 giorni con una partita ogni tre giorni. Praticamente non c’è il tempo di allenarli. E’ una follia questo calendario”

Così parlo Maurizio Sarri, nell’intervista concessa in esclusiva dal Napoli a Sport Mediaset, dopo la decisione da parte del club di non indire la conferenza stampa pre-gara in vista del doppio impegno con Palermo e Dinamo Kiev.

Sarri è considerato un allenatore molto incline alla lamentela ed al “pianto”, provinciale a detta degli scrivani dell’etere, basta dare una sbirciatina alle reazioni del popolo del web ad alcune delle sue dichiarazioni post-partita da quando è alla guida del Napoli: si è passati dall’erba alta di Marassi (all’indomani del pareggio col Genoa) alla “penombra” che ha falsato la corsa scudetto, dalla non contemporaneità delle gare con la Juventus alle alte temperature di agosto, dall’assenza dei nazionali alle conduzioni arbitrali. In alcune circostanze le esternazioni di Sarri, è bene dirlo, sono state sacrosante, in altre meno.

Non ci uniamo al codazzo di “Quelli che…Sarri è il nuovo Mazzarri”, anzi che un allenatore denunci alcune criticità nel suo universo professionale ci sta tutto, fa parte del suo ruolo, del resto. Anche Conte, quando era alla guida della Nazionale si è lamentato del poco tempo a disposizione per gli stage. E vogliamo parlare di Mourinho che proprio ultimamente ha denunciato il fatto di esser costretto a condurre allenamenti solo con 8 calciatori a disposizione, per il fatto che erano tutti via per le nazionali (“Durante gli allenamenti ci sono solo otto giocatori in campo e Sam Johnstone tra i pali”) ?

Chiaro che se ad esprimere un concetto del genere è Maurizio Sarri da Figline Valdarno il concetto assume tutt’altra valenza. Con Sarri, cui affibbiare l’etichetta di provinciale è sin troppo semplice, l’esercizio retorico scatta automatico, mentre se a lamentarsi del calendario fitto è Josè Mourinho, lo Special One, allora le stesse parole assurgono a fine strategia mediatica in vista del derby di Manchester, questione di status-symbol e forse anche di presenza scenica.

Crediamo pure che Sarri abbia accumulato un credito “ideologico” al cospetto del suo presidente e datore di lavoro, dopo il tweet dell’annuncio di Marko Rog, che ha visto De Laurentiis in veste di suggeritore tattico, con buona pace del rispetto dei ruoli e dei propri ambiti di azione. Conoscendo la psicologia dell’allenatore toscano, è plausibile ancorché probabile che quella uscita non gli sia garbata più di tanto.

Quello che, però, stona è la natura e la sostanza delle sue esternazioni. E’ vero che il Napoli ha condotto un mercato all’insegna della gioventù e della prospettiva, è altrettanto vero che sono arrivati calciatori giovani ma già di caratura internazionale: Milik è il centravanti della Polonia ed ha giocato nell’Ajax, non nell’ Ilves Tampere, come Marlo Rog a dispetto della sua giovane età ha al suo attivo esperienza continentale, presenze e reti in Champions League e con la sua Nazionale. Diawara e Zielinski sono due prospetti dal rendimento immediato e concreto, reduci da un campionato di Serie A ad ottimi livelli, con Bologna ed Empoli, non certo due giovanotti di belle speranze raccattati sui campi di periferia della Serie C. E Tonelli, Maksimovic e Giaccherini, poi, sono delle realtà ormai conclamate e verificate del nostro calcio.

Se poi ci aggiungiamo che il manipolo di giovani rastrellato dall’abile mano di Giuntoli sul mercato, va ad innervare una rosa che per 10/11 ha conservato tutti i suoi effettivi nell’undici titolare, che può disporre di gente esperta ed affidabile come Reina, Albiol, Mertens, Allan, Hamsik, Insigne e Callejon, senza voler citare i vari Hysaj, Koulibaly e Jorginho, appare evidente come le dichiarazioni di Sarri sulle incognite dell’attuale rosa nell’immediato, risultino un tantino forzate e fuori luogo.

Maurizio Sarri è un bravissimo tecnico, un abile tattico ed uno stacanovista del lavoro, un personaggio atipico del calcio nostrano, sicuramente suggestivo per il suo forte richiamo ad un calcio nostalgico che è stato soppiantato e travolto dalle TV (con le loro logiche asservite allo share e agli incassi) e dal business sfrenato nelle mani di gente dalla dubbia moralità. Il suo bagaglio valoriale va preservato e tutelato come si fa con un’oasi del WWF, il calcio avrebbe bisogno di un ritorno alle origini e Sarri è uno di quei personaggi che riconciliano col gioco del pallone, che piacciono ai tifosi. Ma deve capire che è arrivato in un grande club, con le sue strategie e le sue logiche certo, ma pur sempre un grande club, il secondo d’Italia, attualmente. In un grande club i calciatori sono quasi tutti i migliori delle proprie federazioni di appartenenza, quindi c’è il rischio di vederseli strappare nelle pause per gli impegni delle nazionali, come succede in tutti i club di rango continentale, del resto.

In merito al mercato ed all’analisi di Sarri nell’intervista a Sport Mediaset, nascondersi serve a poco, a dispetto di una campagna acquisti che ha si visto la cessione del re dei bomber (Higuain), ma che ha portato in dotazione una rosa di maggiore completezza ed omogeneità, come del resto ammesso dallo stesso allenatore toscano in uno dei passaggi chiave. All’inizio di un tour de force impegnativo e cruciale, che vedrà il Napoli impegnato in 7 gare importanti in soli 20 giorni, forse sarebbe servita la spinta emotiva di un allenatore che responsabilizza i suoi ragazzi, che azzera gli alibi ed infonde al suo gruppo la giusta convinzione e la necessaria dose di consapevolezza. Il Napoli è, oggi, una rosa piena di gioventù, ma anche di tanta qualità ed esperienza.

Ci piacerebbe un Sarri meno mazzarriano e più rafaeliano, passateci gli aggettivi, che “schivi” la filosofia delle “mani avanti”, perché proprio il suo modo di intendere e di fare calcio lo impone. Così come ci piacerebbe che la stampa e gli opinionisti di settore si affranchino dalla percezione di essere al cospetto di un “ragazzo di campagna” che si trova lì dov’è quasi per caso e che rimuovano dalla fronte del tecnico toscano questa scomoda etichetta di “tecnico di provincia” che appare ormai accezione antica e pure un tantino abusata.

In un calcio moderno e televisivo, specchio fedele di un mondo che corre alla velocità dei fotoni, sarebbe utile che anche gli operatori dell’informazione si “sprovincializzino” a loro volta e si rendano affini ad un mondo globalizzato in cui non c’è più posto per vecchi stereotipi. Il rischio di confondersi con i “mercanti della parola” proni ad una certo modo posticcio ed obsoleto di fare dialettica ed espressione, loro si, di un giornalismo di provincia, è assai concreto.

 

 

 

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Francesco Romano è laureato ed ha un master in comunicazione e marketing. Ama scrivere, lavora presso Mediaset.
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