La pausa per le nazionali provoca disastri. Ormai è un mantra, una sorta di proverbio moderno entrato a pieno diritto nella dialettica dei tifosi di calcio. In questa tornata di qualificazioni ai prossimi Mondiali, la Serie A conta tre vittime illustri: Riccardo Montolivo, capitano del Milan, il centravanti napoletano Arkadiusz Milik e Yuto Nagatomo dell’Inter. Un po’ di spavento ma niente di grave per il terzino nerazzurro, che in campo con il suo Giappone ha subìto solo una piccola commozione cerebrale, mentre molto più gravi sono gli infortuni per gli altri due, identicamente incappati nella rottura del legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro. Intervento chirurgico per entrambi e appuntamento in campo al 2017.
Nell’era della comunicazione globale, il rituale è sempre lo stesso: immagini in diretta, le agenzie che iniziano a battere la notizia, la stessa finisce sui siti e sulle pagine delle testate sportive, mentre da subito si scatena il popolo dei social. Facebook, twitter, Instagram, Pinterest, chi più ne ha ne metta: è tutto un profluvio di commenti, battute spiritose, auguri di pronta guarigione e, purtroppo, cattiveria. Una cattiveria che spesso va al di là dell’aspetto puramente sportivo: scende nel personale, fruga nella vita privata delle persone, alienandosi perfino dal diretto interessato per raggiungere gli altri, quelli che stanno al di là della barricata.
Le più banali, e diffuse, invettive di questo tipo riguardano i tifosi di una squadra avversaria. Volendo tipizzare in due forme i commenti del social-pensiero dei tifosi da tastiera, “l’infortunio a Milik è una questione di karma, per tutte le offese che i napoletani hanno rivolto a Higuaìn”, posto che qualcuno, in Italia, sia seguace di filosofie orientali. A Montolivo invece, come noto, è stata augurata addirittura la morte: ha fatto benissimo, lui che è un gran signore, a rivolgere una carezza virtuale a quanti avevano manifestato questo stupido pensiero.
Poi ci sono quelli che si distinguono, ma ricordano. Più di un romanista ha pensato bene di scrivere taluni commenti, sul profilo Facebook ufficiale del Napoli, per sottolineare la sua solidarietà, anche se “voi napoetani quando si è infortunato Strootman avete esposto uno striscione offensivo nei suoi confronti”. Il senso di questi commenti è qualcosa tipo “vorrei augurare a lui e a voi tutto il male del mondo, ma ostento la mia estraneità fingendomi educato”. Peraltro, siamo nell’immediata vigilia di Napoli – Roma. In un clima così avvelenato, già una settimana prima del match, viene quasi da ringraziare i vari osservatori se la partità si giocherà alle 15 di sabato e se allo stadio non portanno accedere i residenti nel Lazio, anche se tutto questo rappresenta la morte del calcio.
Il capolavoro però ce l’abbiamo in casa. La medaglia d’oro nello speciale torneo dei leoni da tastiera spetta ai tifosi del Napoli. In giro si legge di tutto, nell’ordine: “non posso pensare che Milik abbia la gamba spaccata mentre qualcun altro a Torino è ancora in piedi”; “De Laurentiis non ha voluto comprare un altro attaccante in estate, ben gli sta l’infortunio di Milik!”; “le nazionali andrebbero abolite”, e via discorrendo tra perle estratte dal pensiero di noti esperti di esoterismo, amministratori delegati di multinazionali, nonchè esimi presidenti federali. A queste stesse persone andrebbe chiesto se esultarono, come fecero in tanti, quel 6 gennaio del 2011, quando l’identico infortunio di Milik toccò a Fabio Quagliarella, passato l’estate precedente dal Napoli alla Juve.
E’ vero, il sistema di qualificazioni alle manifestazioni per Nazionali (Europei, Mondiali, Copa America, etc.) sotto certi aspetti è rivedibile, del resto tutto è migliorabile. Si potrebbero concentrare gli impegni in una sola fase dell’anno, magari in estate, invece di spezzettare i vari calendari, ma niente deve mettere in discussione le Nazionali di calcio. Esse sono l’espressione calcistica di una nazione, laddove il calciatore ha l’onore di indossare i suoi colori per rappresentare i suoi connazionali in veste ufficiale. Si badi bene, non si parla di vincere, ma di rappresentare. Il concetto vale anche in generale, per qualsiasi sport.
A proposito di sport: qualcuno si è mai chiesto quale sia l’etimologia di questa parola? Ebbene, la sua storia è bellissima. Si tratta di un’espressione latina, deportare, che significa praticare un divertimento all’aria aperta. La parola è stata poi adottata dalle culture anglofone, “tornando” in Italia con il significato attuale, che implica una serie di regole per ciasuna disciplina e introduce il concetto di competizione. Ma lo sport, in questo caso il calcio, nella sua accezione primordiale è sinonimo di divertimento, condivisione di uno spazio, comunanza. Se prima di emettere sentenze, inveire contro chiunque, dar vita al proprio desiderio di vendetta personale, quella parte di tifosi ricordasse questo, sicuramente lo sport più bello del mondo sarebbe ancora più bello.