Novanta e non sentirli. Un ciuciariello nato cavallo e diventato somaro raggrinzito dopo appena un anno di vita per nefasti risultati sportivi. Ma quale cavallo rampante? – gridava la gente – siamo talmente ridicoli da poter essere al massimo un ciuccio. E così fu.
Era il 1927, ed il Napoli al termine del primo campionato disputato nella massima serie unificata tra nord e sud, racimola solamente un punto. Da allora il poco edificante animale a quattro zampe non ha più abbandonato l’accostamento ai colori azzurri.
Novanta anni di storia, di passione, di delusioni, di sporadiche gioie. Oggi è il compleanno del Napoli, ma è la festa dei napoletani. Il Napoli è Napoli. Quella maglia azzurra è l’incarnazione di una filosofia, è lo specchio di un modo di essere, è quell’effetto cromatico che riflette noi stessi. “C’ha fatto o Napule?” Non è una domanda qualsiasi, non è la semplice e banale curiosità di un appassionato di sport. E’ qualcosa di molto più profondo. Presuppone la voglia di sapere se nella vita abbiamo finalmente vinto, se possiamo smetterla, anche se per un solo istante, di soccombere dinanzi a qualcuno.
Ed è questo il motivo per cui ci fanno sorridere le frasi del tipo: “è un gioco”, “domani andrà meglio”. Il calcio a Napoli non è un gioco e la voglia di aspettare un domani migliore si è sbriciolata giorno dopo giorno sotto i colpi di un’incessante e duratura frustrazione. Il calcio a Napoli è traslazione dell’onore, definizione delle stratificazioni sociali, gratificazione umana. E’ tutto ciò prestato ad una macchina che del gioco non ne ha più le sembianze.
Il Napoli dal 1926, anno della sua nascita, è una creatura passata tra le braccia di tanti papà che l’hanno vestita a festa o ricoperta di vergogna, ma la fede è rimasta sempre lì, spettatrice inerme ma incessante nella sua eterna fedeltà.
La fede pulsa in tutti i napoletani da sempre e rende viva ed irrefrenabile la voglia di spingere alla vittoria ciò che rappresenta se stessi. Un credo che la storia ha esaltato, bistrattato, umiliato, galvanizzato ed infervorato. Un credo passato tra le mani di chi l’ha freddamente manipolato, quasi a volerlo rendere scultura visibile a tutti. Una passione irrefrenabile divenuta strumento per generare denaro, vista come una miniera dal potenziale incommensurabile. Un dettame umorale soggiogato in tutte le maniere possibili, la cui salute è stata messa a repentaglio innumerevoli volte, ma mai in maniera mortale.
La fede calcistica è fenomeno sociale, e quella napoletana lo è ancor di più, infinita ed immortale. Napoli nel tempo ha abbellito il suo aspetto, ma le sue radici sono rimaste immodificabili, pregne di umile passato e tanta voglia di lanciare il proprio sguardo verso orizzonti più gratificanti.
Il Napoli per i napoletani è quasi paragonabile ad un “vascio”, apparentemente espressione di degrado ed umiltà, un luogo sgradevole e disagevole in cui si cucina in uno stambugio, si mangia nella stanza da letto e si muore nella medesima stanza dove gli altri dormono e mangiano.
Alloggi che agli occhi degli altri hanno le sembianze di sottoscala, abitati da gente non meritevole di nulla, ambienti angusti da cui esalano cattivi odori, ma in fondo covi in cui brulica una umanità viva ricca di sentimenti.
Gli stessi che hanno reso questa città nel tempo straordinariamente ricca di fascino, storia e cultura. Oggi, l’espressione più ludica della napoletanità compie 90 anni di storia.
E allora semplicemente auguri!
Non importa tu quanti anni abbia, non ci interessa che faccia abbia colui che ti galoppa, poco importa se lo faccia con o senza il casco con cui si fa il Rafting, ci interessa che tu sia vivo, che sia in piedi, che sia anche fetido e pessimo da osservare, ma che da quegli occhi tristi e vissuti tu possa trasmettere la voglia di non morire mai e di accompagnarci sempre, zoppicante e sofferente, verso il terzo trionfo.