La gioia per la vittoria della squadra del cuore contro un ostico Bologna, la contemporanea sconfitta della odiata Juventus sul campo di una rigenerata Inter, il primato in solitudine dopo appena quattro giornate di campionato. Tutti eventi piacevolissimi che lasciano però spazio alla vicenda di Fabio Pisacane. Storia per anime sensibili.
Trent’anni e faccia da scugnizzo, nato tra gli affollati vicoli della Napoli più caratteristica ed affascinante: i quartieri spagnoli. Fabio cresce e gioca a calcio in quei vicoli. Mente sveglia, sguardo vispo, poca inclinazione scolastica, quantità giusta di grinta e “cazzimma” per sognare di diventare un buon difensore. L’occhio del signore con la cravatta si posa presto su di lui, quando non aveva ancora compiuto 14 anni. E’ quello di un osservatore del Genoa – società da sempre molto attiva in tal senso – a portarlo in Liguria in tenera età. Per Fabio si spalancano le porte del sogno.
Un desiderio della fantasia infantile finalmente accarezzato dalle mani di un adolescente. Fabio è lì, sul margine del trampolino che nel suo immaginario lo catapulterà nel calcio che conta. Poi la doccia gelata.
A 14 anni compiuti comincia ad accusare preoccupanti problemi motori, si svegliava al mattino senza avere la consueta mobilità articolare. Dai primi accertamenti alla doccia gelata il passo è stato breve: “Sindrome di Guillan-Barrè”, questa la diagnosi. Una malattia che porta alla completa paralisi degli arti. Il buio più intenso piomba improvviso su di un’esistenza solare. Atroci ed imprevisti, ad attendere Fabio, ci sono stati mesi di paralisi ed anche un breve coma. La partita si è fatta seria, quasi irrecuperabile.
Ma la tempra del giovane partenopeo non ne ha voluto sapere di piegarsi, la pellicola transitata dinanzi alle nere pupille di Fabio in tutti questi mesi di angoscia hanno proiettato le fatiche giovanili, gli sforzi, gli stenti, la necessità di soffrire, l’obbligo di sognare. Non poteva finire tutto così. Quando casi simili non culminano in tragedia, ma nel bocciolo profumato di un lieto fine, non si sa chi ringraziare, di certo la forza di volontà di Fabio ha fatto la sua parte.
Passa il tempo, il sogno di diventare un calciatore professionista e cavalcare i palcoscenici importanti della serie A lascia il palcoscenico alla gioia più importante: esistere.
A Fabio tocca ricominciare tutto daccapo, proprio da dove aveva avuto inizio il suo sogno: Genova. Una lenta e lunga risalita dalle sabbie mobili, un pachidermico riaffacciarsi al calcio che conta. L’occasione della vita, però, non sembra ripresentarsi. Ravenna, Cremonese, Lanciano, Lumezzane, Ancona, Ternana e Avellino, sembrano essere tappe turistiche piuttosto che palcoscenici calcistici degni di nota. Nelle stazioni delle suddette città non passa il treno della notorietà, ma quello dell’onestà: Durante la stagione 2010-2011, il 14 aprile 2011 il direttore sportivo del Ravenna Giorgio Buffone (poi successivamente arrestato), gli offre 50.000 euro per far vincere il Ravenna nella successiva partita contro il Lumezzane, ma egli rifiuta e denuncia il fatto. A seguito della sua denuncia il nome di Pisacane – insieme a quello del collega Simone Farina che fu autore dello stesso gesto – è balzato improvvisamente alla ribalta.
Nonostante Fabio abbia dichiarato di non sentirsi un eroe, la città di Terni nel gennaio del 2012 gli ha consegnato il “Thyrus d’oro” come riconoscimento alla sua lealtà sportiva. Inoltre la FIFA, per mano del presidente Joseph Blatter, gli ha conferito la nomina di ambasciatore. Infine, anche l’allora CT della nazionale Cesare Prandelli decise di invitarlo – assieme a Farina – al raduno della nazionale in vista di Euro 2012.
Chiusa la bella parentesi ternana lo attende Avellino. Con la maglia dei lupi una bella stagione in cadetteria per poi salpare nel 2015 a Cagliari, balzato nella stagione 2016-2017 in serie A.
Ieri, in Cagliari-Atalanta, l’esordio di Fabio Pisacane nella massima serie. Un’emozione troppo grande per lui, un’esordio vincente, e non certo per il rotondo successo ottenuto sugli orobici. La vita ha detto a Fabio che ce la si può fare. Fabio si è reso conto di essere finalmente uscito dal tunnel più buio e di aver visto la luce due della felicità.
Nel dopo-gara i microfoni sono stati tutti per lui. Agli operatori Tv è venuto il mal di mare per riuscire a seguire i suoi movimenti corporei durante le interviste. L’emozione tangibile ha penetrato gli obiettivi e strozzato la sua voce. Ripercorrere la sua storia gli ha donato una emozione troppo grande per essere retta. E così, il pacchetto televisivo formato da compostezza, impostazione del tono, occlusione al sentimentalismo esplicito, ha fatto spazio ad un bellissimo ed inconsueto: “nun cia facc”.