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Il rilancio di Gabbiadini: l’enigma del ruolo e la questione mentale

Nelle ore immediatamente successive all’infortunio di Milik, l’ambiente napoletano è andato in fibrillazione. Sia chiaro, la causa delle tre sconfitte consecutive, due delle quali in casa, non è certo da ricercare nella sostanza prodotta da un unico elemento. Tuttavia, qualche riflessione un po’ più attenta va fatta su Manolo Gabbiadini, in questi giorni protagonista tra luci (poche) e ombre (molte) delle sorti dell’attacco azzurro. Innanzitutto viene da chiedersi: che ruolo ha Gabbiadini? Prima punta? Seconda punta? Esterno d’attacco? Vero è che in questo suo primo scorcio di carriera, la punta di Calcinate ha ricoperto un po’ tutti i ruoli della prima linea. Ma andiamo con ordine.

Cresciuto nelle giovanili dell’Atalanta, esordisce in serie A con i nerazzurri a 18 anni, nel marzo del 2010. Dopo un anno in prestito al Cittadella, riesce ad imporsi proprio nell’Atalanta nel corso della stagione successiva. In una recente intervista a Radio Kiss Kiss Napoli, l’ex direttore generale azzurro Pierpaolo Marino, all’epoca dirigente della società orobica, ha spiegato che Gabbiadini a Bergamo “era l’alternativa a Denis, ma poi ci ha giocato anche insieme nel 4-4-2, ma lui voleva fare la prima punta e Denis si muoveva intorno”. Nella sua testa è una prima punta, dice Marino, “anzi parlavo col suo agente perchè poi andò al Bologna in prestito e da punta esterna si lamentava da morire.

Come a Bergamo, a Bologna Manolo aveva al suo fianco una punta di peso, Alberto Gilardino. La differenza tra Atalanta e Bologna, chiaramente, è tattica. Nelle file rossoblu, insieme a Kone formava un duo che doveva liberare spazi oppure fornire assist per il bomber di Galliate. Giocava da ala se in campo c’era Diamanti, oppure da trequartista in un 4-3-2-1 se Pioli voleva coprirsi schierando tutti insieme in mediana Khrin, Perez e Taider.

Nell’estate del 2013 passa alla Sampdoria, sulla cui panchina da novembre siederà Mihajlović: a detta di tutti saranno le due stagioni migliori di Gabbiadini. Al di là della continuità d’impiego da parte dell’allenatore serbo e dei 19 gol in 50 partite con la maglia blucerchiata, Gabbiadini sembrava aver trovato la sua precisa collocazione. Con Mihajlović non ha molto senso parlare di 4-3-1-2 o 4-2-3-1, bensì è necessario osservare i compiti degli undici in campo. Quella Samp aveva mediani di pura sostanza come Obiang, Duncan e Krstičić, due dei quali si piazzavano davanti alla difesa e consentivano a Soriano di giostrare in tutta libertà dal centrocampo in su. Gabbiadini, così come Eder, partiva esterno ma si accentrava quasi sempre, aumentando la densità in area avversaria.

E chi c’era in area avversaria? Forse il meglio che un attaccante d’appoggio possa desiderare: Stefano Okaka. La punta ex Roma ha segnato 9 gol in quasi 50 partite a Genova, pochissimo per un numero nove puro, eppure il suo apporto era considerato fondamentale. Forte fisicamente, abilissimo a giocare spalle alla porta, attirava puntualmente su di sè il raddoppio di marcatura, circostanza che creava un’occasione da gol o una punizione in zona pericolosa. Inutile aggiungere che sia Gabbiadini che Eder calciano molto bene le punizioni.

A gennaio del 2015 Gabbiadini fu scelto da Benitez nel suo 4-2-3-1 come esterno destro in alternativa a Callejon e talvolta sulla trequarti in luogo di Hamsik: 11 gol in 30 partite, ma con un rapporto tra gol segnati e minutaggio effettivo tra i migliori in Italia. In estate il tecnico spagnolo fece posto a Sarri e Silvio Pagliari, agente del giovane attaccante, in una delle tante interviste rilasciate dichiarò: “Benitez con lui si è comportato sempre bene, ma nel modulo 4-2-3-1 si è adattato come esterno. Con Sarri si trova benissimo e giocherà nel suo ruolo naturale di attaccante al fianco di Higuain”. Indicazione importantissima, questa, per capire lo stato d’animo e le intenzioni del ragazzo. Posto che poi Sarri ha accantonato il modulo a due punte preferendo il 4-3-3, e considerato che i 36 gol in campionato del Pipita hanno lasciato poco più che le briciole a Manolo, è oggettivo che l’idea del numero 23 azzurro ad oggi sia quella di giocare da punta centrale, ma con qualcuno al suo fianco. Pertanto, risulta quasi paradossale come forse sia il disegno tattico della Nazionale di Ventura ad essere perfetto per la punta azzurra.

A differenza dell’anno scorso, quest’estate Sarri ha puntato dal primo giorno di ritiro sul 4-3-3 con esterni larghi, quindi a fine ottobre è impensabile un cambio nel sistema di gioco. Volendo pure ipotizzare variazioni tattiche, un 4-4-2 penalizzerebbe tutti insieme Insigne e i centrocampisti attualmente in rosa (Hamsik e Jorginho, ad esempio, hanno sofferto tantissimo il modulo di Benitez), mentre un 3-5-2 porrebbe quale prima questione quella di trovare due esterni a tutta fascia. Nondimeno, Sarri si troverebbe davanti ad un bivio a gennaio con l’eventuale arrivo di una prima punta di scorta oppure, certamente, al rientro in campo di Milik.

Troppi grattacapi, insomma. Al di là del ruolo, della collocazione in campo e di tutti gli altri ragionamenti possibili, Gabbiadini deve cambiare marcia innanzitutto sul piano mentale. Pur nel disastro della notte di Champions, il suo ingresso contro il Besiktas è stato positivo. Si è preso la responsabilità di calciare un rigore, segnandolo dopo il clamoroso errore di Insigne, si è mosso bene, ha corso tanto e solo una discutibile segnalazione di fuorigioco gli ha negato la convalida del gol in rovesciata. Riparta da qui Manolo, non pensi al resto.

About author

Paolo Esposito è laureato in Economia Aziendale. Per lavoro si occupa di tax auditing con particolare attenzione al transfer pricing, al financial accounting e alle business restructuring. Tuttavia crede che di calcio sia meglio parlare in napoletano.
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