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Partenopeismi

San Paolo deserto: il tifoso napoletano contro la mercificazione del calcio

Non il costo del biglietto. Non il gioco, né i risultati. Napoli non ha accettato la mercificazione del calcio. E il San Paolo vuoto ne è la chiara dimostrazione.

Per giungere a questa risposta occorre partire paradossalmente da un luogo comune: Napoli è una città di passione. Un luogo a tal punto comune da risultare banale, vecchio, fuori tempo. Eppure è a tal punto comune da risultare vero.

L’innamoramento del tifoso napoletano è come quello vissuto con un partner in amore. Intenso, ardente, caustico. Il napoletano guarda la propria amata (squadra) e sente di amarla con un sentimento che non ha limite alcuno. Per questo il napoletano è stato affianco alla propria squadra nella difficoltà, prendendola per mano nei momenti peggiori, riempiendo stati di serie C, sempre al suo fianco nel dolore come nella gioia.

Anzi, questa curva, che ad oggi somiglia ad una parabola in fase discendete, ha toccato il suo punto più alto con il Napoli mazzarriano del trio Hamsik-Cavani-Lavezzi, che iniziava a rinnamorarsi di giocatori e non solo più dei colori, si è dovuta scontrare per la prima volta con la triste realtà del calcio moderno, dei cui albori non aveva preso parte causa crisi fine anni ’90. Un calcio sempre meno per romantici, sempre più lontano dall’affectio che legava tifosi e squadra. Il tifoso, e quello napoletano in particolare, ha avvertito che questo sentimento non è ricambiato. Non è ricambiato da chi indossa la maglia (al netto dei baci sullo stemma e dei cori sotto la curva), non è ricambiato da chi la guida, né tanto meno da chi ne mantiene le redini. E si badi, non è una critica alla politica societaria, né tanto meno alle scelte che hanno portato il Napoli ad avere una dimensione europea come prima mai nella sua storia, ma una presa d’atto di un processo antropologico che sta avvenendo nel tifo azzurro.

Napoli sente il Napoli distante. Lo sente, lo percepisce sempre di più. Ed è questo che sta allontanando i tifosi. Persa la genuinità degli anni nelle serie inferiori, in cui il tutto era celato da quel barlume di mediocrità del livello calcistico e che spingeva il tifoso ad apprezzare più l’impegno che le giocate, ora non resta altro che apprenderne la sua vera natura: il calcio Napoli come prodotto commerciale.

Fatturati, sponsor, uno, due, tre pubblicità ingombranti sulle maglia, giocatori che a fine partita pubblicizzano la pasta, eventi oramai tutti creati e impostati unicamente per essere venduti. Ogni cosa ha un valore economico: dall’immagine del giocatore alla giocata sopraffina espressa in campo. E’ tutto espresso in euro: gioco bene dammi tanto, giochi bene ti vendo a tanto, giochi male non ti rinnovo, gioco male perché voglio il rinnovo. Questo business ha creato senza dubbio una spettacolarizzazione maggiore del calcio, oggi la partita seguita in TV da una sensazione di pieno appagamento, telecamere ovunque, replay che ricostruiscono alla perfezione le azioni da infiniti punti di prospettiva, ore e ore di intrattenimento. Ma tutto ciò ha scavato una ferita profonda di cui ora si iniziano ad intravedere i risultati. Il tifoso che vede il calcio in TV si masturba, chi lo vede allo stadio fa l’amore. E se a ciò aggiungiamo uno stadio fatiscente, difficoltà logistiche ed economiche, le promesse di rinnovamento mai mantenute, la ferita diventa un grand canyon.

Possibile, il Napoli terzo in classifica, che esprime uno dei migliori sistemi di gioco in Europa, che va sistematicamente a giocare competizioni europee, che annovera tra le sue fila oltre l’80% di giocatori convocati nelle varie nazionali, possibile che abbia una delle quote di abbonati più basse della serie A (superato addirittura dal Chievo) e che non superi i 20000 spettatori per una gara casalinga? Possibile, si. E’ possibile quando ti accorgi che l’amore non è ricambiato, quando su quella fiamma viene puntualmente gettata acqua sopra, quando percepisci che chi mantiene la baracca farebbe anche a meno di te facendo uno stadio per pochi iscritti ad un club di elite. Ma voi avete mai visto un membro di un club innamorato di un club? O è l’interesse, l’evento, il momento che spinge il club a riempirsi o svuotarsi? Il tifoso partenopeo non è tipo da rotary, non vuole andare la domenica a vedere uno spettacolo come al cinema. Vive di un amore libero, irrazionale, che può subire momenti di appannamento, ma è sempre lì, ad aspettare la sua innamorata per dirle ancora “sto con te, ero lontano ma ti pensavo sempre, ogni minuto”.

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Carlo Papa è l'ideatore e il Direttore Responsabile de Il Partenopeo. Docente di diritto e giornalista pubblicista dal 2015
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