Le telecamere sono veicolo inequivocabile e talvolta crudele di verità. Ieri, a margine della immeritata sconfitta del Napoli sul campo della Juventus, hanno immortalato e trasmesso fotogrammi dal sapore imbarazzante. In quanti sarebbero pronti ad asserire che ha stonato non poco vedere Maurizio Sarri e Josè Maria Callejon abbracciare (non senza calore) Gonzalo Higuain?
Il contatto con il Giuda feritore, icona scottante e generatrice di sofferenza popolare, lo hanno avuto proprio coloro che più degli altri rappresentano oggi la Napoli calcistica di successo. Perchè i due rappresentanti della S.S.C. Napoli hanno accettato (se non addirittura cercato) il gesto dello juventino? Perché, viceversa, non hanno palesato freddezza e delusione a chi forse non meritava altro che questo?
La risposta risiede in una lettura antropologica ed umana che spesso contrasta con la logica perversa dell’essere tifoso: la realtà dei fatti, quella tangibile e concreta, nulla o poco ha a che vedere con quella che costituisce il convincimento del tifoso: il calciatore (o il tesserato di una società di calcio in generale) non si trasferisce in una nuova squadra perché ne è portatore di ideologia, non è l’incarnatore dello spirito di un popolo che nemmeno conosce ma è semplicemente un lavoratore dipendente che finisce per legarsi emozionalmente ad una realtà che “impara” ad amare col trascorrere del tempo.
Alle spalle di un sipario chiuso che mostra solo i muscoli e la fatica del campo, vi sono uomini fatti da se stessi, dalle personali aspettative e dalle legittime ambizioni. Vi sono uomini che lasciano la terra natia e si catapultano in realtà a loro sconosciute, nei confronti delle quali non nutrono nessun iniziale affetto. E non sono nemmeno soli. Ad accompagnare questi traumi logistici e culturali, vi sono sovente mogli e famiglie con rispettivi umori ed esigenze. Ma il calciatore è innanzitutto un uomo, un animale sociale che, nonostante le difficoltà iniziali si ambienta, si insinua nella texture sociale, ne incarna gli intenti e le voglie fin quando è spinto dal vento che alimenta la passione comune. Il calciatore ama. Ama innanzitutto se stesso, ma anche la maglietta che indossa, i suoi compagni, il proprio mister. Ama l’idea comune, l’intento collegiale, il desiderio collettivo. Ma ama fin quando arde in sé la passione.
Quella di Gonzalo Higuain è finita nel momento in cui l’amore per se stesso non ha avuto il sopravvento su tutto il resto. E’ durata fin quando la voglia di arricchire la propria scarna bacheca non è stata più forte delle altre, seppur presenti. Higuian ha tradito Napoli, vero. Ma l’ha precedentemente amata. Così come ha amato il mister che l’ha rigenerato e messo nelle condizioni di siglare ben 36 marcature in un solo campionato. Così come ha amato il suo assist-man preferito, quel Callejon con cui ha condiviso anche la precedente esperienza madridista.
Vero, Higuain nei confronti del Napoli e di Napoli avrebbe potuto agire diversamente, avrebbe potuto essere più limpido. Ma quanti uomini hanno il coraggio di voltare pagina in un batter d’occhio con la donna che non amano più? Maurizio Sarri e Josè Maria Callejon (soltanto due delle infinite “donne” che hanno amato il calciatore Higuain) lo hanno capito. “Lo saluterò come un figlio che ha fatto una cazzata” – aveva detto alla vigilia di Juventus-Napoli Maurizio Sarri. Una frase che incarna un pensiero nobile: “Mi ha deluso ma non dimentico il bene che mi ha fatto”. Una dichiarazione bella, vera, matura. La dichiarazione di un uomo che della vita conosce tutto, soprattutto l’andamento altalenante ed inevitabile di un’emozionalità che non necessariamente deve assumere i caratteri di uno sconcio insanabile.
Gonzalo con quegli abbracci (uniti alla non esultanza) aveva intenzione di far pace con la Napoli che ha trasformato amore in odio. Probabilmente ricavandone ulteriore risentimento.
A raffreddare ulteriormente l’atmosfera già gelida che persiste tra Napoli e Gonzalo Higuain, ci ha pensato poi Diego Armando Maradona che, in un video di ringraziamento per il suo 56° compleanno, ha rimarcato: “Io non tradisco”. Ne siamo così sicuri? Abbiamo spulciato nell’album delle dichiarazioni passate:
Diego Armando Maradona Napoli 16 luglio 1992:
“Se il Napoli non mi lascia libero sarò un cadavere calcistico”.
“Nell’estate del 1989 avevo firmato un contratto con Bernard Tapie. Era tutto pronto. Dopo quattro ore di incontro, Ferlaino mi disse che se avessimo vinto la Coppa Uefa mi avrebbe lasciato andare. La coppa l’abbiamo vinta ma alla fine mi impedì di andare al Marsiglia”.
Giugno 1992: Maradona rifiuta la convocazione per il ritiro, e per mezzo del suo procuratore, Marcos Franchi, fa sapere che:
“Diego non ritornerà in Italia, anche se gli arriverà un ordine preciso o sarà minacciato”
Il 10 luglio, Maradona inizia a flirtare con il trasferimento all’estero:
“Mi piacerebbe giocare in Francia. Ci volevo già andare quattro anni fa, ma non me lo permisero. Sarebbe l’ ideale, prima di chiudere la carriera qui, con il Boca Juniors, al quale voglio regalare uno scudetto che non arriva da dodici anni”
Potere dei due scudetti vinti. Hanno cancellato le impurità che appartengono un pò a tutti, Diego Armando Maradona compreso.