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Partenopeismi

Chi di Higuaìn ferisce, di Witsel perisce

Correva il mese di luglio. Oltre al gran caldo, il delirio del calciomercato aveva già preso il sopravvento su noi comuni mortali (ne scrivevo qui). Proprio in quei giorni, avevo l’onore e il privilegio di scambiare due chiacchiere con un collega juventino, il quale ovviamente si beava della sontuosa campagna acquisti condotta da Marotta e Paratici. In pratica, a parer suo, la cessione di Pogba era stata sacrosanta perché con quei denari era stato possibile pagare le clausole di Pjanic prima e di Higuaìn poi.

Ma il collega non disdegnava le operazioni condotte da Giuntoli: “Zielinski è forte, a me piace, ma state molto attenti a Diawara e Maksimovic”, asseriva con sicurezza. Alla mia domanda sul perché dicesse queste cose, la risposta è stata “perché hanno disertato il ritiro, non hanno voluto parlare con i dirigenti e gli allenatori: in pratica sono scappati, un giorno potrebbero farlo anche con il Napoli”. A quel punto la domanda mi è uscita spontanea: “scusa, ma con Higuaìn non è successa la stessa cosa? Allora dovete stare attenti anche voi…”. Pronta la replica: “Eh no, non devi dire così! La Juve ha molti più soldi da mettere sul piatto rispetto al Napoli, ringraziate che quelli che avete preso non li volevamo, altrimenti nemmeno quelli vi facevamo vedere. Hai visto Witsel? Perché non è voluto andare al Napoli secondo te? Perché dietro c’è la Juve che offre più soldi”.

Sul momento, sono sincero, mi sono tenuto la posta. Ripensavo al riccio mediano belga, ma nella mia mente qualcosa non quadrava. Oltre ai soldi conta anche il prestigio, discorso fatto in modo abbastanza esplicito sia dal bosniaco ex Roma che dal Pipita. E’ ovvio che i soldi non rappresentino tutto nella vita, persino se parliamo di calciatori.

Passano i mesi, nel frattempo ricomincia il mercato, e come tutti sanno Witsel non solo non approda alla corte bianconera, ma a sorpresa firma un faraonico contratto con i cinesi del Tianjin Quanjian, che verseranno nel suo conto corrente 18 milioni di euro a stagione. Lo stesso Tianjin Quanjian, allenato da Fabio Cannavaro, è arrivato ad offrire 28 milioni più bonus per Mario Mandzukic, il quale però ha rifiutato l’offerta di “soli” 7,5 milioni a stagione. Tuttavia, è riduttivo pensare che i soldi al giorno d’oggi arrivino solo dall’estremo oriente asiatico. E’ notizia di questi giorni l’interessamento del Real Madrid per Paulo Dybala: 90 milioni alla Juve più il cartellino di Morata, oltre ovviamente ad un contratto mostruoso per La Joya di Laguna Larga.

Davanti a questi numeri, che noi povera gente fatichiamo anche a pronunciare, è ovvio che il collega juventino inizi a vacillare, a tergiversare, a cambiare continuamente il suo punto di vista sulla questione. Se qualche mese fa Juventus era sinonimo di prestigio assoluto e ricchezza inarrivabile, davanti a questi piccoli esempi post-natalizi la scena cambia completamente. Witsel è diventato improvvisamente un appestato, ciò che non serve a nessuna squadra al mondo: “…perché è ovvio che ha messo in mezzo la Juve per tirare sull’ingaggio, meglio non averlo preso”. Su Mandzukic e Dybala, dopo un iniziale atteggiamento di chiusura a riccio, il collega juventino si apre come un libro e confessa che “in effetti Morata ci farebbe comodo”, mentre su Mandzukic, con tono ecumenico: “chi vuole andare, vada, vuol dire che la Juve può fare a meno di lui”.

Ora, non per fare il precisino a tutti i costi, ma queste sono le stesse parole che ho usato io, proprio con lui, quando il Napoli ha venduto prima Lavezzi, poi Cavani, infine Higuaìn, ricevendo come risposta che il nostro atteggiamento da napoletani semplicioni e sottomessi non ci avrebbe mai portato a vincere niente. A parte che qualcosa, non tantissimo ma qualche trofeo, ce lo siamo portati a casa, ma ricordando quest’ultimo assioma non ho potuto fare a meno di prendermi la mia piccola rivincita: “Parlando di soldi e di tradizioni, aveva ragione il professor Bellavista: si è sempre i meridionali di qualcun altro”, gli rispondo salutandolo.

About author

Paolo Esposito è laureato in Economia Aziendale. Per lavoro si occupa di tax auditing con particolare attenzione al transfer pricing, al financial accounting e alle business restructuring. Tuttavia crede che di calcio sia meglio parlare in napoletano.
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