A chi, assistendo alla prestazione di Leonardo Pavoletti , sceso in campo con la maglia da titolare in Napoli-Fiorentina, non è balzato agli occhi il fantasma di Manolo Gabbiadini?
64° i minuti giocati, non tantissimi. Tanta buona volontà, grinta e voglia di fare ma anche delusione per le occasioni fallite e zero gol. Ma al di là di meri dati statistici, qualcosa di quasi impercettibile ha macchiato l’ex attaccante del Genoa di un non so che di negativo, quel velo indecifrabile che però ha donato la sensazione di insoddisfazione e paura per il futuro. Calma, si dirà: giusto. Il calciatore va aspettato, recuperato in maniera totalitaria relativamente a condizione atletica e processo di inserimento.
Ma cerchiamo di andare a fondo alla questione: perchè la prestazione di Leonardo Pavoletti ha trasmesso queste sensazioni negative?
L’ex genoano non ha giocato male: sessantaquattro minuti di applicazione, grinta, determinazione e corsa. Ingredienti necessari affinchè si valuti in maniera positiva una prestazione, ingredienti che non sono mancati. Eppure, vederlo uscire a testa china a metà secondo tempo, ha spaventato un pò tutti. Può bastare il non essere riuscito a buttare la palla dentro a divulgare timori e perplessità? No, decisamente no. I motivi sono da ricercare altrove.
L’attesa nemico numero uno
Pavoletti lo si attendeva da mesi, da quel maledetto 8 ottobre, giorno in cui il Napoli è rimasto orfano di Arkadius Milik vittima di un grave infortunio al ginocchio. Mesi su mesi in cui la casella destinata al sostituto di Milik è rimasta vacante, occupata in maniera suppletiva da Gabbiadini e da un Dries Mertens prestato ad un ruolo non suo. Tre mesi in attesa di una punta vera, di un centravanti classico. La rivestitura deve aver pesato sulle spalle del ragazzo toscano, la pressione esercitata dagli occhi posati su di lui deve essere stata pesante. Le espressioni facciali di rammarico per qualche occasione mancata durante Napoli-Fiorentina hanno infatti palesato la frenesia di chi è pervaso e persuaso dalla voglia di dimostrare a tutti i costi.
Nessuno come Sarri
Ma noi ci vediamo anche altro. Dobbiamo riconoscerlo con grande onestà intellettuale e anche tanto orgoglio: non abbiamo mai visto il lavoro sul campo di un tecnico finire per essere così incisivo ai fini della resa di un calciatore. Il Napoli , dopo due anni di insegnamenti sarriani, è una macchina perfetta, con meccanismi così oleati da scivolare con imbarazzante continuità sul dorso di una costante chiamata gioco.
Il Napoli è bello da vedere, sempre. E’ una squadra compatta, veloce, con idee chiare, e ciò che stupisce di più è proprio l’evidente incipit che ogni interprete palesa in ogni movimento, in ogni giocata, in ogni spunto, con o senza palla. A questo stadio di maniacale perfezione non si arriva attraverso l’improvvisazione. Il processo che porta dritti a questo livello di professionalità passa attraverso vari step che ci portano indietro nel tempo, fin da quando il calciatore viene individuato, acquistato e gradualmente inserito. Sarri, quando li ha a disposizione, discerne il valore assoluto del calciatore dal livello di inserimento nella texture della sua idea di calcio. Ma quando il processo, seppur lento e articolato, è finito, il Napoli si ritrova in campo elementi di massimo livello che hanno fatto loro il credo del proprio educatore. Sono questi i motivi per cui gli esordi in campionato di molti nuovi acquisti azzurri sono tardati a venire: il solo Zielinski (che era stato allenato ad Empoli da Maurizio Sarri) ha esordito quasi subito in Palermo-Napoli 0-3 e comunque sostituito al minuto 73°. Amadou Diawara, giovanissimo apprezzato e stimato da tutti, ha dovuto attendere la gara Crotone-Napoli prevista alla 7° giornata di campionato per esordire. Maksimovic, il calciatore più pagato dopo Milik della campagna estiva del mercato azzurro, ha esordito in Atalanta-Napoli prevista alla 7° giornata di campionato e lo ha fatto per cause di forza maggiore vista l’assenza dei suoi compagni di reparto. Ancora oggi non è titolare e costantemente vittima delle reminiscenze tattiche del passato. Lo stesso Rog, attorno al quale si è detto e scritto di tutto, ha dovuto attendere la 15° giornata di campionato per esordire a pochi minuti dalla fine in un trionfale Napoli-Inter 3-0.
Insomma, è proprio vero che la mano di Sarri è costantemente posata sul gioco che sciorinano gli azzurri, ed è altrettanto vero che per comprenderne minuziosamente il senso il lavoratore del pallone ha bisogno di tanto esercizio.
Leonardo Pavoletti non può aver immagazzinato tutto ciò. Per cui con l’ex bomber del Genoa ci vuole pazienza, gliela deve la piazza ma forse il primo a concedersela deve essere proprio lui.
E mister Sarri? Beh, più che la pazienza, forse è giusto gli conceda minuti per evitare che l’entusiasmo di Pavoletti non si sgonfi come quello del (partente?) Gabbiadini.