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Serie A e diritti televisivi: non c’è un minuto da perdere

Nulla di fatto. All’apertura delle buste che assegnano i diritti TV per il triennio 2018/21 le parti in causa escono dagli uffici milanesi della Lega con un pugno di mosche. La notizia del giorno, tutt’altro che positiva, è che Mediaset si è ritirata dall’asta.

I fatti

Innanzitutto, è bene chiarire come sono divisi i pacchetti per la trasmissione in pay-tv delle gare di massima serie. La Lega Serie A suddivide i diritti di trasmissione in quattro “pacchetti”, venduti con aste separate:

  • Pacchetto A: consente di trasmettere su piattaforma satellitare le 248 partite relative ad otto squadre di Serie A. Il suo valore è di 200 milioni;
  • Pacchetto B: riguarda lo stesso blocco di gare previste dal pacchetto A, ma per la trasmissione su digitale terrestre. Il costo è identico, 200 milioni;
  • Pacchetti C1 e C2: è la novità rispetto al bando relativo al triennio precedente. I diritti di quattro delle otto società inserite nei pacchetti A e B (per un totale di 140 partite a stagione) possono essere trasmessi da piattaforme TLC (compagnie telefoniche, tipo TIM, che investono in contenuti telematici) e OTT (società di broadcasting, ad esempio Youtube). Valore dei pacchetti: 100 milioni cadauno;
  • Pacchetto D: è una sorta di all inclusive, nel senso che con un esborso di 400 milioni tutti gli operatori partecipanti ai bandi per i pacchetti precedenti hanno la possibilità di portarsi a casa un totale di 324 partite, 132 delle quali in diretta esclusiva.

Il totale fa un miliardo di Euro: è questo il valore che la Lega attribuisce al suo prodotto di punta per la vendita domestica. Peccato che all’appello manchino le offerte di Mediaset e TIM. Dalle parti di Cologno Monzese hanno ritenuto il bando “inaccettabile”, facendo seguire alla mancata offerta un ricorso (poi respinto) all’Antitrust. La TLC italiana, main partner della Lega Serie A e la cui offerta era attesa un po’ da tutti, è risultata invece la grande assente di quest’asta.

Risultato: le offerte pervenute non superano i 490 milioni complessivi, meno della metà di quanto stabilito in via Rosellini. Sky ha offerto meno del previsto, fermandosi a 230 + 210 milioni per i pacchetti A e B. I restanti 50 milioni li ha offerti Perform, una piattaforma telematica che si occupa di sport (e calcio) a livello globale.

Già proprietaria dei noti marchi “Goal.com” e “OptaSports”, Perform ha tentato l’assalto ai pacchetti C1 e C2, avendo dalla sua già un’esperienza analoga. In Germania, Austria, Svizzera e Giappone è infatti attiva Dazn, una piattaforma che in molti hanno definito il Netflix dello sport: l’offerta va dalla Ligue1 francese alla JLeague nipponica, dal basket NBA al football NFL, passando per il grande tennis e, se questa situazione si sbloccasse, la Serie A.

Ad oggi, tuttavia, la rinuncia esplicita di Mediaset e quella tacita di Tim hanno sparigliato le carte, rendendo il tutto meno leggibile e più ingarbugliato. A gettare acqua sul fuoco ci ha pensato Luigi De Siervo, massimo dirigente di Infront. Secondo l’advisor della Lega, infatti, non c’è nulla di cui preoccuparsi perché è in fase di definizione la ristrutturazione aziendale che porterà il network televisivo che fu di Berlusconi e quello telefonico sotto il controllo della francese Vivendi. Solo allora, chiosa De Siervo, si avrà un quadro più chiaro e la strada sarà in discesa.

Per la cronaca, le parti si aggiorneranno in autunno e non sono escluse sorprese, come il varo di un canale di proprietà della stessa Lega.

Sky, Mediaset e Lega: volano gli stracci

Nelle convulse ore immediatamente precedenti all’apertura delle buste, gli attori principali della vicenda non se le sono certo mandate a dire. La Lega Serie A, nella persona del neo commissario Tavecchio, ha tirato le orecchie un po’ a tutti, sottolineando il fatto che le offerte arrivate non rappresentano il reale valore del calcio italiano.

Alle dichiarazioni di Tavecchio, ormai deus ex machina dell’industria calcistica nostrana, ha fatto seguito il comunicato emanato dall’entourage della famiglia Berlusconi, che oltre a definire il bando inaccettabile ha aggiunto che lo stesso “abbatte ogni reale concorrenza e penalizza gran parte dei tifosi italiani, costretti ad aderire obbligatoriamente a un’unica offerta commerciale”. Non proprio una dichiarazione d’amore, insomma.

Dal canto suo nemmeno Sky, il principale competitor di Premium, rivolge parole al miele a Tavecchio. In una nota ufficiale, dalle parti di Rogoredo fanno sapere che una nuova asta, ma con la stessa base (come chiarito dal rappresentante della Lega) “suona come una beffa e va contro chi ha rispettato le regole”. Secondo Sky, “se gli altri operatori avessero partecipato, con offerte anche solo pari alla base d’asta, la Lega Calcio avrebbe raggiunto il target economico auspicato”. Posticipando molto in là nel tempo un nuovo bando, conclude la tv di Murdoch, la stessa Lega aspetta che “il mercato dell’industria televisiva trovi un ipotetico nuovo assetto solo per contrastare la nostra Azienda”.

Se ne riparlerà in autunno quindi, ma al netto dell’afa estiva gli animi sembrano già belli caldi.

L’impatto delle tv sul calcio italiano

Quanto accaduto è solo l’ultima spia che testimonia il pessimo stato di salute del nostro calcio. L’interpretazione è tanto semplice quanto allarmante: le televisioni italiane non hanno (in tutto o in parte) intenzione di investire nella Serie A. Di sicuro c’è una netta divergenza tra il valore assegnato al campionato dalla Lega e quello stanziato dai network per trasmettere le partite.

Eppure la vicenda è delicata, non merita di essere presa alla leggera o calendarizzata troppo avanti nel tempo. Secondo Report Calcio 2017 (consultabile qui), i proventi da diritti televisivi rappresentato quasi la metà di quelli totali. Se si aggiungono i ricavi commerciali, per i quali la tv svolge un ruolo chiave, la percentuale sfiora il 65%.

Il risultato netto di gestione è disastroso, perché le perdite aggregate relative alla stagione 2015/16 ammontano a 250 milioni di Euro, che si aggiungono al totale di oltre un miliardo di risultati netti negativi riferiti ai quattro campionati precedenti. Di contro, a fronte di costi per ingaggi in continua ascesa, nessuna società di massima serie tranne la Juve gode di ricavi “strutturali”, frutto di asset proprietari come stadio, entertainment points (come il museo e i temporary store) e canale distributivo di materiale commerciale gestito in proprio.

E’ chiaro a questo punto che la vicenda relativa ai diritti televisivi va gestita e risolta in fretta. Presentarsi al prossimo tavolo di discussione sul nuovo bando senza idee concrete, ma soprattutto senza l’intenzione da parte dei network di investire cifre importanti, per il calcio italiano sarebbe l’inizio della fine.

About author

Paolo Esposito è laureato in Economia Aziendale. Per lavoro si occupa di tax auditing con particolare attenzione al transfer pricing, al financial accounting e alle business restructuring. Tuttavia crede che di calcio sia meglio parlare in napoletano.
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