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Shakhtar Donetsk: viaggio alle origini dei minatori ucraini

Le talpe ucraine hanno probabilmente il palmares più fornito in patria, uno dei più ricchi di tutto il panorama ex sovietico. Per la precisione: 10 titoli nazionali ucraini, 11 Coppe e 8 Supercoppe d’Ucraina, 4 Coppe dell’Unione Sovietica e una Supercoppa sovietica. Gran parte di questi trofei portano la firma di Mircea Lucescu, il quale nella primavera del 2009 pose la ciliegina sulla sua magnifica torta, andando a vincere ad Istanbul l’ultima edizione della vecchia Coppa Uefa. Dopo i supplementari, i suoi ebbero la meglio 2-1 contro il Werder Brema.

A Donetsk il calcio esisteva già dal 1911, come parte della polisportiva Yuzovka Sports Association, ma è nel 1936 che assume le definitive sembianze di un autonomo club calcistico. Il primo nome della società di Donetsk è simbolico, Stachanovec, in onore del leggendario minatore ucraino (all’epoca sovietico) Aleksej Grigorevic Stachanov. Ancor oggi utilizzato come riferimento per lavoratori particolarmente efficienti (stacanovisti), l’operaio Stachanov lavorò proprio nelle miniere della regione del Donbass, il bacino del fiume Donec, il cui capoluogo è appunto la città di Donetsk. In virtù della natura di operai di miniera, fin da subito il soprannome della squadra diviene Shakhtar, ovvero “i minatori”.

Lo Stachanovec era diviso in due squadre, Dynamo Horlivka e Stalino (antico nome della città di Donetsk), le quali però non parteciparono da subito al campionato di calcio sovietico. La prima ebbe vita breve, tanto che ben presto si fuse con la squadra di Stalino. Ma la partecipazione al campionato di calcio sovietico, paradossalmente, non era tra le priorità degli stacanovisti di Donetsk. La prima apparizione dello Stachanovec Stalino nella Gruppa A (la prima divisione del campionato sovietico) avverrà infatti solo nel 1938. Il vero obiettivo degli ucraini era primeggiare nelle Spartachiadi.

Nate nel 1928 per contrapporsi alle Olimpiadi, le Spartachiadi rappresentarono una sorta di giochi organizzati dai paesi appartenenti al blocco comunista, in contrapposizione a quelli “ufficiali” del mondo occidentale. C’erano atleti e squadre provenienti tanto dalla Federazione sovietica, quanto dagli altri paesi del blocco, finanche da paesi terzi, come Svizzera, Inghilterra, Uruguay. Essendo una manifestazione che rivendicava il potere operaio su quello borghese, chiunque era ammesso a partecipare purché appartenente a movimenti di lavoratori.

Per quel che concerne il torneo di calcio, gli organizzatori divisero le squadre partecipanti in due gruppi: selezioni cittadine, tra cui Mosca e Donetsk, e selezioni regionali o nazionali, tra cui quella Ucraina. I calciatori dello Stalino, come buona parte degli altri, si divisero tra la militanza nella squadra locale e quella nazionale. Se con i colori arancio-neri non si distinsero particolarmente, fu con la maglia dell’Ucraina che riuscirono ad entrare nella storia, in parte loro malgrado. Ma facciamo un passo indietro.

Nell’estate del 1928 si svolsero ad Amsterdam i Giochi della IX Olimpiade. Nel calcio trionfò l’Uruguay, che in tal modo bissò il successo ottenuto quattro anni prima a Parigi. Tutti contenti? Nemmeno per sogno. Nel paese sudamericano, sospinto dai movimenti operai est europei, era attiva da qualche anno la FRD, Federación Roja del Deporte, una lega parallela a quella ufficiale (AUF) nella quale giocavano squadre composte da amatori dopolavoristi. La FRD era affiliata all’Internazionale Sportiva Rossa di Mosca ed in patria organizzava un vero e proprio campionato.

Ebbene, gli affiliati alla FRD salutarono con disprezzo la vittoria dei “finti amatori” olimpici, rei di aver vinto una manifestazione di stampo borghese. A detta dei militanti socialisti, la vittoria nello sport non deve essere fine a sé stessa, ma deve comportare un miglioramento nelle condizioni di vita. Infatti la FRD lavorava anche politicamente per affermare il potere operaio in patria.

Nella finale riservata alle selezioni regionali e nazionali, la FRD perse proprio contro la selezione ucraina. Tale sconfitta, peraltro minata da un arbitraggio abbastanza contestato, non scalfì l’orgoglio che la FRD nutriva nei confronti dei propri atleti. Al ritorno in patria, infatti, gli amatori dopolavoristi furono celebrati come degli eroi, tanto che l’AUF propose loro di diventare atleti professionisti. Ovviamente nessuno accettò l’offerta. Gli ucraini, diversamente, giocarono una sorta di finalissima contro la squadra di Mosca, vincitrice del raggruppamento riservato a squadre cittadine, perdendo 1-0.

Nel 1952 la leggenda finì. I sovietici, infatti, decisero di partecipare alle Olimpiadi di Helsinki, dopo un boicottaggio durato ben 14 edizioni. Sotto la stessa denominazione, negli anni a venire, talune federazioni locali (tra cui la Cecoslovacchia e la stessa Ucraina) provarono a far rivivere il mito, ovviamente per meri fini propagandistici. Ma con lo sbarco dell’URSS in Finlandia, Olimpia sancì la sua vittoria su Spartaco.

About author

Paolo Esposito è laureato in Economia Aziendale. Per lavoro si occupa di tax auditing con particolare attenzione al transfer pricing, al financial accounting e alle business restructuring. Tuttavia crede che di calcio sia meglio parlare in napoletano.
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