Il mio nome e Marek, Marek Hamsik. Di mestiere faccio il calciatore, una cosa che detta così fa subito pensare ai milioni di euro, ai locali notturni e alle “veline” pronte ad attaccarsi come le api ai fiori. Invece sono sposato con Martina, che non è mai apparsa in video. Se cercate il suo nome in rete, l’articolo più recente è di luglio 2014, quando ci siamo sposati. Abbiamo tre figli, che non hanno nomi bizzarri o di marche famose, non siamo in cerca di facili campagne pubblicitarie.
Mi chiamo Marek e faccio il mediano. Da piccolo giocavo con una società che si chiama Jupie Podlavice. Un giorno arrivarono i dirigenti dello Slovan Bratislava, per portarmi con loro, ma non avevano abbastanza soldi per comprare il mio cartellino. Così mio padre Richard rinunciò ai suoi risparmi, pagò lui il trasferimento: si privò di tutto quel che aveva pur di vedermi giocare tra i professionisti.
Mi chiamo Marek Hamsik e vengo dalla Slovacchia. Nel 2004 arrivai in Italia, al Brescia, e qualcuno ricordò che i soli due slovacchi passati da quelle parti prima di me si chiamano Milos Glonek e Vratislav Gresko: non esattamente due leggende. Nel frattempo, e non ero nemmeno ventenne, avevo già collezionato quasi 70 presenze e 10 gol tra serie A e B.
Il mio nome è Marek e il mio destino è Napoli. E pensare che Pierpaolo Marino era venuto a Brescia non per vedere me, ma il mio compagno di squadra Milanetto, che quella sera segnò pure un bellissimo gol su punizione. A dirla tutta Marino manco mi conosceva, mi notò quando mi alzai dalla panchina per entrare solo perchè avevo la cresta, da lontano a stento riuscì a leggere il mio cognome sulla maglia. Stava per andare via, ma poi disse tra sè “ha 19 anni, vediamo cosa sa fare”. Pochi mesi dopo ero a Castel Volturno, a firmare il contratto insieme a De Laurentiis.
Io sono Hamsik e da sempre porto il numero 17. Non il 4 del medianone vecchio stampo, nè l’8 della mezzala, nemmeno il 5 alla brasiliana. Indosso il numero 17, perchè mi piace. Mi hanno detto che a Napoli significa disgrazia, ma dopo dieci anni che sono qui, a Natale, quando dal panariello della tombola esce il numero 17 anche le nonne ormai urlano “Hamsìk!” (con l’accento sulla i).
Mi chiamo Marek e sono uno di voi. Ho scelto di restare qui per scrivere tante pagine della storia del Napoli. Ho giocato 100, 200, 300, poi 400 partite con questa maglia, una maglia che non toglierò mai, nemmeno quando sarò troppo vecchio per correre su un campo di calcio. E poi i gol: quanto mi piace correre in mezzo ai difensori avversari, sorprenderli e poi infilare gli increduli portieri. So segnare in tutti i modi: di piede, di testa, di destro, di sinistro, di rapina e in contropiede. Ho capito subito il valore che ha esultare in uno stadio come il San Paolo, me ne accorsi quando feci il mio primo gol con la maglia del Napoli, contro il Cesena in coppa Italia, a Ferragosto del 2007.
Il mio nome è Marek Hamsik ed oggi sono entrato nella leggenda. Perchè Maradona è Maradona, non si discute, ma segnare quanto lui e meno di nessun altro con questa maglia, portando al braccio la fascia di capitano, è la linea di confine che separa la storia dal mito. E pensare che non sono nemmeno un attaccante. Perchè, non so se ve l’ho detto, ma io sono Marek e di mestiere faccio il mediano.