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Partenopeismi

Per favore, non chiamatela favola

I nostalgici più attenti avranno notato che il Napoli, a distanza di quasi trent’anni, si trova ad affrontare in una competizione europea una squadra di Lipsia. Nell’anno della conquista della vecchia Coppa Uefa, al secondo turno i partenopei superarono il Lokomotive, una squadra e una società che però non c’entrano nulla con i prossimi avversari degli azzurri.

Dalle lattine al campo

La storia del Rasenball Sport Lipsia è recente, la fondazione della squadra biancorossa risale al 2009, ma non si tratta della cosiddetta “favola calcistica”. Alle spalle dei ragazzi guidati dall’austriaco Ralph Hasenhüttl c’è la madre di tutte le multinazionali austriache, quella Red Bull che grazie alla diffusione ormai di portata mondiale riesce a fatturare oltre sei miliardi di Euro all’anno. Probabilmente, al mondo non esiste nessuna società in grado di registrare introiti così alti attraverso la commercializzazione di un solo prodotto.

Il colosso fondato da Dietrich Mateschitz, che ha ideato la famosa bevanda e che ancora oggi detiene il 49% delle azioni della società, è presente come main sponsor in diverse discipline, tra cui la Formula Uno, l’hockey su ghiaccio e la mountain bike. Ma è nel calcio che Mateschitz ha trovato la sua miniera d’oro, grazie ad un modello aziendale del tutto inedito.

In principio, per testare la sua idea in contesti poco competitivi, la Red Bull diede vita a tre squadre, una a Salisburgo, una a New York e l’altra a Campinas, in Brasile. Con l’intenzione di competere ai massimi livelli, i manager di stanza a Salisburgo iniziarono a pensare ad una squadra da lanciare in uno dei campionati più importanti d’Europa, scegliendo in ultimo quello tedesco. La scelta della città ricadde su Lipsia, dopo vari intoppi (soprattutto legati al mancato gradimento da parte della piazza) incontrati a Dresda, Sachsen e altre città della Sassonia.

Grazie alla ristrutturazione di uno stadio esistente (lo Zentralstadion, diventato poi Red Bull Arena) e ad un piano di investimenti di 100 milioni di Euro in dieci anni, la squadra di Lipsia ha vinto in modo relativamente agile i campionati di retrovia, fino a contendere stabilmente le posizioni di vertice alle grandi storiche come Bayern Monaco e Borussia Dortmund.

Sotto il profilo gestionale, l’idea è quella di sfruttare al massimo il marchio proprietario, Red Bull appunto, e investire nel calcio gli introiti pubblicitari che il colosso delle bibite mette a disposizione della società di calcio. Dal punto di vista tecnico, la proprietà ha speso molti soldi per accaparrarsi i migliori talenti in giro per l’Europa: grazie alla crescita di giocatori come Keita, Bruma e Werner, oggi la rosa dei biancorossi ha un valore complessivo stimato che supera i 300 milioni di Euro.

Controversie

Ma non è tutto oro quel che luccica. Se, da un lato, la multinazionale di Salisburgo promuove un modello innovativo per una società di calcio, dall’altro bisogna fare i conti con il contesto di riferimento.

Le regole, innanzitutto. La Federazione tedesca, ad esempio, non ammette che nel nome di una squadra sia presente quello del partner commerciale: così è stata vietata la denominazione Red Bull Lipsia, ma la sigla è rimasta RB, che sta per Rasen-Ball, letteralmente sfera sul prato.

Poi ci sono i tifosi, a partire da quelli locali. A Lipsia non è mai troppo piaciuta l’idea di una multinazionale che intende far ruotare tutti gli aspetti sportivi intorno al commercio dei prodotti dello sponsor.

Più in generale, in Germania sono molto attenti alla storia e alla tradizione. Da quelle parti viene data molta importanza alla classifica perpetua, cioè ai punti accumulati dalla squadra in tutti gli anni di militanza in Bundesliga.

Al primo posto c’è il Bayern Monaco, ovvio, ma una delle squadre ad avere maggior considerazione è l’Amburgo, ad oggi unica compagine ad aver partecipato a tutte le 54 edizioni moderne del massimo campionato teutonico.

Al quinto posto di questa speciale classifica c’è lo Stoccarda, che però è retrocesso al termine della stagione 2015/16. Il suo posto è stato preso appunto dal Lipsia, squadra che cinque anni prima nemmeno esisteva. L’indignazione è stata trasversale.

A molte persone, per fare un altro esempio, non va giù l’idea che la competizione sportiva sia un’enorme scusa per farsi pubblicità. E’ un concetto che i tifosi del Borussia Dortmund, con striscioni e comunicati vari, hanno ribadito più volte. Per loro, come per quelli di diverse altre squadre, il Lipsia è semplicemente la “squadra in lattina”.

Infine c’è l’aspetto geopolitico, in precario equilibrio tra la promozione commerciale in una zona disagiata e lo sfruttamento fine a sé stesso. La città di Lipsia non è stata scelta a caso: Mateschitz ha preteso di investire nell’ex Germania Est, una macroregione che, fatta eccezione per l’Union Berlino, dopo la riunificazione non ha mai visto competere squadre ad alti livelli.

Eppure lo sforzo profuso nella riqualificazione di un’area depressa non è stato capito, oppure semplicemente non viene comunicato correttamente dalla proprietà. Fatto sta che i tifosi della Dinamo Dresda, nel corso di uno scontro diretto, hanno lanciato in campo una testa di toro. Quelli del Colonia, sdraiandosi per terra, hanno fisicamente impedito al pullman del Lipsia l’ingresso nello stadio. Altri ancora, nelle serie minori, hanno disertato del tutto.

Negli anni ciò non ha impedito l’ascesa della squadra biancorossa, con la qualificazione alla Champions centrata da debuttante assoluta in Bundesliga, un record assoluto. Il resto è storia recente, con il terzo posto nel girone europeo alle spalle di Besiktas e Porto, che è valso la partecipazione alla fase finale di Europa League. In questo caso, ovviamente, speriamo che siano gli uomini di Sarri a mettere le aaali…

About author

Paolo Esposito è laureato in Economia Aziendale. Per lavoro si occupa di tax auditing con particolare attenzione al transfer pricing, al financial accounting e alle business restructuring. Tuttavia crede che di calcio sia meglio parlare in napoletano.
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