Cerchiamo di fare un grande sforzo: non guardiamo il roboante 1-3 con il quale il Napoli si è sbarazzato dell’ottimo Torino di questo inizio stagione. Poteva finire tranquillamente con cinque o sei gol all’attivo, ma non è questo il punto. La questione centrale è che nell’ultima decade di settembre viene definitivamente alla luce la creatura che ha in mente Carlo Ancelotti. Avevamo già introdotto il tema in questo articolo, adesso proviamo a sviluppare il discorso facendo leva sui punti salienti emersi dalla trasferta di Torino.
LA DIVERSA INTERPRETAZIONE DELLA PARTITA
La notizia del giorno, enorme se si pensa agli ultimi tre anni, è che il Napoli fa il 48% di possesso palla. Non è paradossale constatare che gli azzurri non abbiano mai subìto le iniziative granata: la squadra di Mazzarri, rigore a parte, non ha mai tirato in porta e in tutte le zone del campo è stata limitata sul piano dell’iniziativa.
Vincere in quel modo, con il fraseggio lasciato agli avversari, significa giocare in modo essenziale, concreto. La verticalizzazione di Koulibaly per Mertens che mette Verdi davanti alla porta ne è l’emblema. L’impianto tattico ha progressivamente perso quegli orpelli che tanto hanno fatto innamorare i tifosi, consegnando agli occhi degli stessi un pragmatismo che mette la porta avversaria nel mirino già dal primo tocco del centrale difensivo.
IL SISTEMA DI GIOCO
Nelle prime fasi del ritiro estivo, Ancelotti tra il serio e il faceto disse che il suo modulo preferito era il 4-4-2, perchè si copriva meglio il campo. In tanti sorrisero, soprattutto perchè il mister di Reggiolo sembrava contraddirsi nel momento in cui asseriva di non voler stravolgere taluni aspetti tattici messi a punto da Sarri. Ora è evidente che dal lì il motore ha iniziato a girare in un altro modo, lentamente ma inesorabilmente.
Si è partiti col 4-3-3, ma con l’esterno sinistro d’attacco molto più vicino al centravanti. Col passare del tempo è stata sempre più netta la sensazione di un 4-2-3-1, che diventa 4-4-2 in fase di non possesso.
L’ulteriore accorgimento in tal senso è stato spostare sulla fascia quello che prima era l’interno sinistro di centrocampo. Ma le due ali hanno compiti diversi. A destra Ancelotti chiede di “consumare la riga”, al fine di dare ampiezza alla manovra. Sono previste le sovrapposizioni del terzino, ma il gioco si sviluppa tutto in verticale.
A sinistra è un altro discorso. In fase di non possesso l’esterno deve stare con i piedi piantati sulla linea per non concedere superiorità agli uomini di fascia avversari. Il primo forte vagito di questo tipo di interpretazione si era avuto già contro la Fiorentina, quando Chiesa fu reso inoffensivo dal lavoro di Zielinski.
A Torino è toccato a Verdi: in fase d’attacco chi ricopre quel ruolo deve accentrarsi e avvicinarsi il più possibile agli altri due. In questo caso il gioco si sviluppa in diagonale, circostanza che lascia tutta la fascia libera per la discesa del terzino mancino. Questa variante ci pone già in ottica futura, quando su quella parte di campo tornerà ad agire Faouzi Ghoulam.
A questo punto, parlare di un Hamsik (o chi per esso) nel ruolo che fu di Jorginho diventa esercizio inutile. Il regista basso davanti alla difesa coadiuvato da due interni non esiste più, ora in mediana ci sono due centrali, uno di contenimento, l’altro di qualità.
GLI UOMINI CHE NON TI ASPETTI
Finalmente passiamo a parlare di singoli. Il dato maggiormente indicativo della metamorfosi in atto è che a Torino, su un campo difficile e contro un avversario che ha ambizioni europee, la formazione iniziale che (soprattutto nel primo tempo) ha triturato le velleità granata annoverava Luperto, Rog, Verdi e Mertens.
Rispetto al passato, l’indicazione fornita da Ancelotti sembra essere quella di applicare la sua idea di calcio a prescindere dagli interpreti, una sorta di credo “liquido”. A Genova contro la Samp, partita persa in malo modo, con tutte le contraddizioni del caso si era avuta un’avvisaglia in tal senso con la sostituzione di Insigne e Verdi già all’intervallo: è come se Ancelotti avesse detto “non mi interessa chi siete, se non ci siete con la testa è meglio far giocare altri”.
L’ASPETTO MENTALE
Ed è proprio negli spogliatoi del Ferraris che la rotta si è invertita. La capacità e la padronanza di Ancelotti lo hanno portato a definire, senza drammi, quella sconfitta alla stregua di un raffreddore. Lì è partita la scalata, proverbialmente dal punto più basso.
Contro la Fiorentina c’erano tutti i presupposti per parlare di catastrofe annunciata: dallo scarso pubblico al turnover, dagli impegni ravvicinati all’indubbia qualità dell’avversario, elementi ai quali spesso e volentieri gli allenatori si aggrappano per giustificare l’insuccesso.
Ancelotti vara ufficialmente il 4-4-2: la squadra dal campo risponde con una prestazione attenta, ordinata, di grande concentrazione. Sull’1-0 e per i restanti dieci minuti il Napoli non rischierà nulla, limitando al massimo il talento e la forza della disperazione degli avversari.
A Torino il livello è salito vertiginosamente. Il Napoli è partito fortissimo, cancellando d’un colpo i primi tempi contratti e le giocate impacciate che hanno contraddistinto tutte le precedenti uscite. Eppure non è filato tutto liscio, perchè a inizio secondo tempo il rigore e la legittima veemenza degli uomini di Mazzarri potevno rovesciare le sorti del match.
In quel momento il Torino, un po’ per l’entusiasmo e un po’ per l’occasione inaspettata, poteva realmente invertire l’inerzia di una gara apparentemente già segnata. Ma la calma e la lucidità con le quali Mertens, Zielinski, Callejon e Insigne hanno confezionato il contropiede esattamente sette minuti dopo hanno di fatto chiuso i giochi.
IL RUOLO DI INSIGNE
Nel suo consueto editoriale televisivo, Umberto Chiariello di Canale 21 ha definito Lorenzo Insigne un ragazzo di un metro e 63, del peso di 30 chili, ma che dentro porta un’incredibile concentrato di talento. Insigne parte e si consacra come esterno sinistro d’attacco, ha grande spirito di sacrificio e pur di aiutare la squadra metterebbe da parte sè stesso.
Ancelotti, in poche e semplici mosse, lo ha afferrato per le spalle, lo ha fatto ruotare di 180 gradi e gli ha fatto imboccare la strada in senso contrario. I compiti difensivi ridotti all’essenziale primo pressing sul portatore di palla avversario, uniti alla possibilità di svariare a partire dalla trequarti avversaria a salire, fanno sì che Insigne sia al centro di un’evoluzione tattica.
Non è il caso di scomodare mostri sacri come Del Piero e Di Natale, soprattutto perchè è troppo presto per tirare questo tipo di conclusioni, quindi per il momento è giusto far parlare i numeri. Quattro gol nelle prime cinque giornate Lorenzo non li aveva mai fatti.
Confrontando il dato di quest’anno con i precedenti si scopre che Lorenzo dopo 5 giornate è a un solo gol dall’intero bottino in campionato del biennio di Benitez. Sempre nell’attuale primo scorcio di stagione, il folletto di Frattamaggiore ha già messo a segno la metà delle reti realizzate in tutto il campionato scorso. Il cambio di rotta è evidente.
Sul piano pratico, Insigne corre meno e meglio, ha ridotto la fatica e, dati i ritmi non più forsennati ai quali la squadra è chiamata a giocare, conserva maggiori energie, soprattutto mentali, per farla da padrone nella metà campo avversaria. Col tempo diventerà un vero e proprio regista d’attacco.
Adesso però viene il difficile, perchè dopo il Parma ci saranno la Juve e le sfide titaniche di Champions. Il discorso è aperto, appena possibile ne riparliamo.