Ritornando con la mente (e con il cuore) a quei giorni di luglio del 2016, nessuno avrebbe mai scommesso un euro sul fatto che Gonzalo Higuaìn potesse insegnare qualcosa a De Laurentiis. E invece lo ha fatto, anzi, gli ha lasciato diversi concetti da tenere a mente.
IL MONDO VISTO CON GLI OCCHI DEL PIPITA
Riavvolgiamo il nastro, ma stavolta tentiamo il difficle compito di metterci nei suoi panni. Insieme con la famiglia viene portato a Venezia da De Laurentiis, che gli prospetta rinnovo e adeguamento del contratto. A loro non basta, vogliono che siano mantenute le promesse di una squadra costruita per vincere, non solo competere e far quadrare i conti.
De Laurentiis tergiversa, prende tempo: da un lato sa che il contratto di Higuaìn è in ghiaccio con una clausola mostruosa, dall’altro teme uno scherzo dell’ultimo minuto. Uno scherzo che arriva, e siamo sul finire di luglio, quando viene a sapere che nel ritiro di Dimaro el Pipita non ci arriverà mai: ha già fatto le visite con la Juve. Di commenti è stata intasata la rete, quindi passiamo oltre.
Due anni alla Juve, tra alti e bassi. Scudetti vinti laddove hanno trionfato anche Matri, Krasic ed Estigarribia. Un solo traguardo, d’altronde, è chiamato a raggiungere: conquistare quella Champions League che ormai per i bianconeri è diventato un obiettivo concreto. Due anni di permanenza a Torino, ma la coppa dalle grandi orecchie sfuma due volte – una in finale e una ai quarti – sempre per mano del “suo” Real Madrid.
Higuaìn aveva lasciato in sordina il Bernabeu nell’estate del 2013, senza vincere nulla in campo internazionale, osservando poi i suoi ex compagni salire sul tetto d’Europa per ben tre volte consecutive.
L’estate scorsa a Max Allegri viene regalato Cristiano Ronaldo, ma Andrea Agnelli in cambio gli chiede di rinunciare ad uno dei suoi due centravanti: Mandzukic o Higuaìn, chi mandi via?
Il tecnico livornese non ci pensa su due volte. Cosicché, mentre fervono i preparativi per accogliere CR7, è già pronto un biglietto di sola andata per via Aldo Rossi, sede di Casa Milan: “Al Chelsea mi voleva solo Sarri, al Milan mi vogliono tutti”, avrà a dire l’asso argentino nella conferenza di presentazione.
Bastano pochi mesi per capire che il Milan di questi tempi non è esattamente uguale a quello che trionfava in Europa qualche anno fa. Nicolas, il fratello procuratore, tentò maldestramente di dissimulare il malcontento familiare sottolineando che la Juve nella sua storia aveva perso tante finali quante invece ne aveva portate a casa il Milan.
Alla fine del girone d’andata, i fatti invece parlano di un quinto posto a 22 lunghezze dalla “sua” Juve e a 13 dal “suo” Napoli. La lotta per centrare almeno il quarto posto che vale l’Europa dei grandi è tutt’altro che agevole, mentre le prove generali del doppio impegno settimanale terminano miseramente prima di Natale, ad opera niente meno che dell’Olimpiacos. E’ presto per trarre conclusioni, ma di sicuro la stagione era partita con ben altri auspici.
Una media realizzativa che a Napoli era 0,62, alla Juve cala a 0,52, col Milan si inabissa a 0,36. In giro ci sono centrocampisti che fanno meglio, un pensiero che fa il paio con quello della concorrenza sempre più spietata del giovane Cutrone e le voci di Piatek in procinto di sbarcare a Milanello.
Ora approda al Chelsea, e quel “mister, non mi convochi perché non me la sento” rivolto a Gattuso alla vigilia della trasferta di Marassi contro il Genoa rappresenta un comportamento sotto certi aspetti in linea con l’idea di fare le visite mediche di notte e di nascosto per conto della Juve.
LA VICENDA VISTA CON GLI OCCHI DI DE LAURENTIIS
Traditore, ingrato, mercenario: questi sono gli unici “complimenti” ripetibili con i quali i tifosi del Napoli hanno omaggiato Gonzalo saputo del suo passaggio tra le file bianconere. De Laurentiis commise un peccato d’ingenuità, lo ammise lui stesso, nel fissare la clausola per il suo campione in “soli” 90 milioni di Euro. Alla lunga quei soldi non hanno fruttato un ricambio tecnico nemmeno lontanamente paragonabile, ma non è questo il punto.
Il punto è che De Laurentiis, a sua insaputa e forse contro la sua volontà, ha compiuto un capolavoro imprenditoriale senza precedenti. Ha applicato alla lettera il manuale del buon imprenditore. Chiariamoci: la Juve ha vinto prima di Higuaìn e vincerà dopo mentre il Napoli ha vinto (raramente) prima, e solo grazie al calciatore più forte di tutti i tempi. Con tutto il rispetto, ma Gonzalo a Diego può solo allacciare le scarpe.
Il discorso, quindi, non è tecnico, ma puramente imprenditoriale. Qui si compie la lezione tenuta dal professor Pipita.
I calciatori hanno una breve, spesso brevissima vita utile all’interno di un club. Ciò che può fare il presidente è capire cosa serve per migliorare, mentre il compito dell’allenatore è capire come i singoli possano rendere al meglio.
Ad un certo punto i calciatori che hanno maturato una buona crescita di valore vanno venduti al miglior offerente, chiunque essi siano e in qualsiasi ruolo giochino: Messi a parte, nel calcio moderno lo fanno praticamente tutti.
Non servono clausole, trattative pilotate dai procuratori e merci di scambio spesso inutili: il prezzo lo fa chi vende, chi compra s’adegui. Con i soldi ricavati si torna al concetto precedente: reinvestire per migliorare e rivendere.
Tornando indietro di due anni e mezzo, allo studente De Laurentiis deve tornare utile questa lezione, fatta di pochi ma essenziali concetti. Più di tutto, deve rendersi conto che in questo andirivieni di contratti, soldi e contropartite teniche, ci ha guadagnato solo lui.
Il discorso può e deve valere anche per il futuro. Ad esempio, vendere Allan per prendere Barella sarebbe un’ottima idea. Sostituire uno tra Mertens e Zielinski puntando su Chiesa lo sarebbe altrettanto. Per non parlare di James Rodriguez, un calciatore di livello assoluto per il quale potrebbe essere sacrificato uno qualsiasi della prima linea, senza correre il rischio di indebolirsi.
Il quaderno è pieno di appunti, Gonzalo ha terminato la lezione nel momento in cui è partito per Londra. Ripassa tutto Aurelio, che in estate ci sono gli esami.