Meglio quando non c’è Insigne? Per i pesci rossi sicuramente sì, ma avendo in dotazione capacità mnemoniche ben più significative, non si possono trarre verdetti dalla sola partita di Parma, dove il Napoli ha prodotto fuoco e fiamme, sì, ma non certo per la defezione di Lorenzo. Anche perché il vicario Mertens non si è di certo impegnato a scalzarlo.
Eppure, aleggia ormai da tempo una certa aria pesante attorno al fantasista partenopeo. Aria che la recente investitura a capitano non ha di certo rarefatto, anzi. Curioso inoltre che, appena terminata l’era di un capitano “adottato” da Napoli, quando a indossare quella fascia sia un partenopeo a tutti gli effetti, inizino a fiorire dubbi e discussioni a riguardo.
Ancora più strano è pensare che il giocatore stia iniziando ad essere considerato quasi un “di più”, quando solo pochi mesi fa esaltava il San Paolo e decideva anche incontri di una certa importanza; oltre ai suoi 8 gol in 21 presenze di A (statistiche assolutamente in media per una seconda punta), è impossibile ignorare i suoi 3 sigilli in Champions League, due dei quali di granitica entità contro Liverpool e PSG, oltre a una rete non troppo faticosa nel più modesto catino di Zurigo.
Numeri alla mano, l’ala di Frattamaggiore avrebbe tutte le carte in regola per rappresentare la società azzurra con orgoglio; per di più, Lorenzo spesso non ha nascosto una certa insofferenza verso i cori discriminatori che sovente si intonano negli stadi sparsi per lo stivale, prendendo sempre e repentinamente le parti dei suoi conterranei. Insomma, fedeltà e talento al servizio delle proprie radici.
Nei fatti, però, la scintilla tra Insigne e il pubblico di Fuorigrotta non si è mai accesa in maniera decisa, forse proprio per la evidente napoletanità del neocapitano, che molto spesso in questa piazza diviene una pretesa di rinuncia all’esternazione di qualsivoglia contrarietà, pena il bersagliamento costante e immediato a ogni pallone toccato. Come se si fosse avversari, come se non esistesse redenzione per gli errori in campo o per qualche reazione un po’ troppo stizzita.
Eppure, anche a quel mostro sacro di James Kirk saranno tremate le gambe quando ha messo piede sull’Enterprise per la prima volta. Ma Spock gli è rimasto comunque amico.
Insigne è, al netto dei suoi limiti storici, un calciatore valido, legato alla causa e dalla professionalità invidiabile; eppure ogni settimana si ritrova a guardare ogni suo passo, ogni sua scelta in campo, ogni sua parola e non sbagliare nulla, perchè qualsiasi direzione deciderà di prendere, sa che basterà il minimo errore per essere considerato il capro espiatorio di una eventuale disfatta. Un labirinto senza svolte accessibili e dall’esito monotematico.
C’è da dire che l’astio tra Insigne e i tifosi abbia anche dato i suoi frutti: a volte il 24 azzurro ha trovato la forza di gettare il cuore oltre l’ostacolo proprio in seguito ai continui punzecchiamenti della tifoseria. Ciò non toglie che si tratti di un conflitto inutile, infruttuoso e alla lunga nocivo, oltre che immeritato nei confronti di un atleta che ha già timbrato 75 centri con la casacca di quella che, piaccia o no, è la sua città.
Il paradosso del capitano-imputato e la definizione del “nemo propheta in patria” sembrano trovare la propria sintesi nelle fattezze del nazionale frattese, costretto a gestirsi non solo dal pressing e i contrasti degli avversari, ma soprattutto dall’umoralità di una piazza che, pur non avendolo mai rinnegato, non gli ha mai concesso di ascendere al ruolo ormai iconico del predecessore Marek; ma chissà che, con lo slovacco ormai via, Lorenzo non riesca finalmente a imbroccare il sentiero giusto del labirinto, imparando a camminare in punta di piedi in direzione del suo popolo, sperando che dall’altra parte ci si muova nello stesso verso.