Sarebbe meglio accettarlo il prima possibile: Mertens non vive per il gol. Dimentichiamo il biennio d’oro di Sarri che lo ha visto prolifico marcatore di riferimento, considerabile una lieta parentesi nella carriera del folletto belga. Oggi come oggi, assecondando anche le sue peculiarità fisiche e atletiche, Ancelotti lo colloca in un ruolo di “sostegno” alla punta centrale, a metà tra la tipica seconda punta in voga ad inizio anni 2000 e il classico trequartista con licenza d’inventare.
Riprova di questo è stata la prestazione disputata contro l’Udinese: due assist chirurgici e una rete “à la Insigne” nata da corsia e piede non preferiti: la sinistra. Un Dries che sembra aver finalmente imparato ad alzare la testa a beneficio dei compagni, abbandonando la smania della conclusione ad ogni costo che, specie negli ultimi tempi, lo rendeva protagonista di prestazioni quasi al limite dell’irritabilità (sua ma soprattutto degli spettatori).
Del resto, anche dalle interviste si percepisce l’assoluta serenità dell’ormai ex centravanti biondo: le sue dichiarazioni sul “non essere Crouch” in riferimento alla filosofia ancelottiana dello scodellare palloni alti per la prima punta, non hanno tradito insofferenza, ma piuttosto si sono rivelate portatrici di una sorprendente voglia di adattarsi a quel sistema, diventando di quel gioco non il beneficiario ultimo ma piuttosto il promotore. Da questo punto di vista, l’intesa con il suo complementare Milik cresce di partita in partita, rendendo un po’ meno fastidiosa l’assenza temporanea di Insigne.
Dopo i suoi esordi da esterno, la transizione da centravanti e questa nuova esperienza da punta “di supporto”, questa versione 3.0 del 14 azzurro pare avergli fornito nuovi stimoli, anche agli occhi del suo Ancelotti che, col ritorno di Lorenzo, dovrà fronteggiare una piacevole abbondanza di alternative tattiche; inoltre, le recenti prestazioni del neo-fantasista fiammingo sembrano aver allontanato anche le immancabili voci di un suo possibile addio a Napoli. Città a cui si è “adattato” quasi meglio che ai diversi ruoli che gli hanno cucito addosso i vari mister.
Abbandonando le sterili polemiche su una sua eventuale carica da capitano (questioni che, Inter docet, affrontate a stagione in corso portano solo effetti deleteri), al buon Dries può essere riconosciuta una capacità trasformista tipica degli ambiziosi. Di chi, pur non avendo tutti i requisiti per una mansione, compensa i suoi limiti con il lavoro, il sacrificio e l’elasticità. Senza trascurare una certa dose di piacioneria.