Agatha Christie diceva: “un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, tre indizi sono una prova”. A malincuore dobbiamo ammetterlo, ma da Verona torna una squadra che non ha più un allenatore. Ancelotti ha perso le redini dello spogliatoio e i famigerati tre elementi ci sono e sono palesi.
Indizio n. 1: il rendimento della squadra
Nelle ultime dieci partite il Napoli ha totalizzato 16 punti, frutto di 4 vittorie e 4 pareggi. E’ in linea di galleggiamento a metà di questa speciale classifica insieme al Cagliari, ad un punto dalla Sampdoria ma ben al di sotto delle dirette inseguitrici Inter (20), Milan e Roma (entrambe a 19).
Possono sembrare numeri poco indicativi, ma nelle precedenti 10, ironia della sorte a partire dallo 0-0 interno contro il Chievo, i punti totalizzati furono 23, solo 3 in meno della corazzata juventina.
E’ proprio in quel periodo che il Napoli ha massimizzato il suo distacco nei confronti del plotone attualmente in lotta per un posto Champions, ed è lì che probabilmente ha allontanato le altre da qualsiasi velleità di raggiungere il secondo posto in classifica.
Al rendimento oggettivamente inferiore rispetto alla decina precedente, meno sette punti, il Napoli ha pericolosamente abbinato prestazioni surreali. Basti pensare alle ultime uscite contro Genoa, Empoli e la stessa Roma, alla quale a fine primo tempo era stato incredibilmente regalato il rigore del momentaneo pareggio.
Nondimeno, l’obiettivo europeo, per forza di cose diventato primario nell’ennesima stagione da subalterni di lusso in Serie A, non è stato sempre esattamente a fuoco. Tolte le due vittorie contro i modesti svizzeri dello Zurigo, la doppia sfida al Salisburgo stava per prendere una brutta piega nel finale in Austria.
L’andata contro l’Arsenal ha palesato una mancanza di preparazione ed esperienza magari naturale per taluni calciatori (Fabian Ruiz su tutti), ma alle quali doveva sopperire l’abilità di uno degli allenatori più vincenti della storia.
Il tutto, chiaramente, è in contrasto con l’ottimo girone di Champions, culminato sì con la “retrocessione” in Europa League, ma che tanti buoni spunti aveva fornito nelle sfide al Liverpool e al Paris Saint Germain.
Indizio n. 2: dai fatti alle parole
Se i fatti appaiono inquietanti, le parole non lasciano spazio a dubbi. Nell’immediato dopo gara di Londra, Piotr Zielinski ha candidamente dichiarato
“Nel primo tempo non abbiamo giocato come sappiamo fare, eravamo messi male in campo”.
Delle due l’una: o l’allenatore non ha saputo spiegare bene le cose ai calciatori, oppure questi ultimi hanno fatto finta di non capire. Nessuna delle due ipotesi è beneaugurante in vista del ritorno.
Ma ciò che lascia ancor più perplessi, e per certi versi fa propendere per la prima ipotesi, è l’ammissione di Ancelotti, sempre estratta dalle dichiarazioni post Arsenal:
“Una delle cose che avevamo preparato era quella di cercare di avere coraggio”
parole che aveva pronunciato anche alla vigilia ma che, evidentemente, non hanno trovato conferma in campo.
Poi aggiunge:
“Sapevamo che qui l’ambiente avrebbe spinto molto. Ci siamo fatti trovare impreparati, impauriti, abbiamo sbagliato e ci hanno castigato”
Cosa significa di preciso “ci siamo fatti trovare impreparati”?
Se una volta perso lo scudetto – convinzione che risale a Natale – l’Europa diventa l’unico motivo per dare un senso a questa stagione, a Londra bisogna andarci non al doppio, ma al quadruplo delle proprie possibilità.
L’Arsenal è una squadra che, come il Napoli, ha un’ossatura di giocatori che si è formata internamente ad alto livello, gente tipo Koscielny, Elney e Ramsey. Soprattutto, cosa che oggi manca maledettamente al Napoli, tra i gunners militano giocatori formatisi altrove e che portano ad Emery un’esperienza sufficiente a giocare questo tipo di partite. Parliamo di Cech, Mkhitaryan, Ozil, Aubameyang, Lacazette.
Di questa tipologia di giocatori il Napoli avrebbe bisogno almeno per coltivare la speranza di vincere un trofeo. In mancanza di essi l’allenatore deve essere in grado di colmare il gap di esperienza a certi livelli.
Indizio n. 3: Ancelotti come Ventura
Non è un’esagerazione, ma nell’immediato prepartita di Verona è accaduto qualcosa che si spera non sfoci nell’irreparabile. In una sala dell’hotel che ospitava il gruppo azzurro si è tenuto un incontro tra i calciatori, che hanno parlato, si sono confrontati e hanno dato vita ad una sorta di “patto”, non si sa bene a quale fine.
Qual è l’anomalia? Lo staff tecnico, Ancelotti compreso, è stato tenuto fuori dalla riunione. Storicamente, un gruppo di lavoro si riunisce senza il capo perché capisce che c’è qualcosa che non va e perché tenta di trovare la soluzione senza l’ausilio del capo stesso.
In gergo si dice esautorare, vale a dire privare dell’autorità connessa a funzioni direttive o di comando. Lo sanno bene Ancelotti e il suo staff, motivo per cui nella conferenza post Chievo l’argomento è stato sorvolato con un eloquente e sorridente “chiedete a loro”.
Una storia simile l’abbiamo vista giusto un paio d’anni fa, in Nazionale. Dopo il deludente pareggio contro la Macedonia, i cosiddetti senatori convocarono una riunione dalla quale fu escluso il commissario tecnico Ventura, il quale per così dire la “concesse”.
Diversamente da quanto sta accadendo in queste ore nello spogliatoio del Napoli, l’ammutinamento in quel caso fu chiaro, a Ventura furono imputate responsabilità precise ben prima del definitivo flop dei play off contro la Svezia, ma dalle parti di Castelvolturno questo è solo l’ultimo di una serie di campanelli d’allarme che stanno suonando in modo sempre più nitido e con cadenza sempre più frequente.
Da tifosi ci viene da scongiurare qualsivoglia pericolo per l’amore che ci lega alla maglia azzurra, ma da persone che leggono la situazione con un minimo margine d’imparzialità ci viene da pensare che i tre indizi ci sono: la prova è servita.