“Pretendiamo la Coppa Uefa”.
Esageriamo se lo definiamo lo slogan dell’anti-tifo?
La nostra passione sta reggendo a troppe sollecitazioni negative. Se siamo ancora qui a scrivere di calcio lo dobbiamo, forse, a Sarri e alle emozioni fortissime che ci ha regalato durante la scorsa stagione; una stagione che, a prescindere dalla mancata vittoria di un titolo, ha riempito le nostre arterie di adrenalina pura, di emozioni uniche e forse irripetibili.
Il calcio è quello. Solo e unicamente quello.
Distogliere lo sguardo da quella trepidazione vuol dire schifarsi. Al diavolo la dialettica moderata, stavolta vogliamo essere caustici: ci guardiamo intorno e proviamo disgusto. Volgere lo sguardo a destra e manca vuol dire imbattersi nel costante sospetto di irregolarità diffusa, brogli, sotterfugi, stadi pessimi e invivibili, assenza totale di cultura sportiva, tifoserie che sovente sono espressione poco edificante. Mancavano solo gli slogan al dispotismo.
Cosa c’è da salvare?
Quando ci siamo imbattuti nello striscione esposto ieri in vari punti della città di Napoli le braccia sono crollate. Immedesimiamoci in un calciatore che a Castel Volturno si imbatte in uno messaggio del genere, cosa sarebbe autorizzato a pensare?
Forse non si lascerebbe andare ad una esclamazione ma ad una domanda: “altrimenti cosa accadrebbe”?
Cosa cela il termine “pretendiamo”? Cosa presuppone il mancato ottenimento della “richiesta”? In fondo alla strada c’è l’inquietante ombra di una ripercussione?
Pretendere, rivendicare, esigere. Questo è tifo? A noi sembra essere la materializzazione dell’arroganza.
Attorno al gioco del calcio non manca la cultura sportiva, manca proprio la cultura. La parte buona del tifo probabilmente non si sente tirata in causa e fa bene, non lo è.
Ma per certificare il proprio disappunto e la totale estraneità da una filosofia arcaica qualcosa può fare: esplicitare la totale distanza da quei manifesti e dal loro inaccettabile contenuto.