Messi-Ronaldo, Totti-Del Piero, Insigne-Mertens. A parte l’ovvia differenza di peso tecnico, ciò che distingue l’ultimo dualismo rispetto ai primi due, è il fatto che Lorenzo e “Ciro” ne siano protagonisti pur militando nella stessa squadra, molto spesso coabitando in quelle poche migliaia di metri quadrati del rettangolo verde.
Pare passata ormai un’eternità da quando i due avanti azzurri guidavano il sogno del tricolore, sfumato solo nelle ultime battute della scorsa stagione. Il loro percorso tecnico è stato per larghi tratti simile: entrambi nati come esterni offensivi, entrambi adattati all’occorrenza in diverse zone del reparto d’attacco, entrambi tecnici e irradiati con guizzi da campione. Da almeno tre anni sono i calciatori più determinanti nei verdetti che coinvolgono la compagine azzurra, hanno molto spesso brillato in sinergia, anche avvicendandosi o proteggendo, a suon di prestazioni dell’uno, il momento buio dell’altro. Un tandem prolifico e affiatato, seppur, in certe fasi, un po’ troppo umorale.
Pur avendo pregi e limiti abbastanza simili tra loro, spesso le analisi nei confronti dei due azzurri non hanno mostrato lo stesso equilibrio tra il condannare i “vizi” e celebrarne le innegabili virtù.
Il belga è arrivato a Napoli indossando la maglia numero 14 ma anche un grosso codazzo di punti interrogativi al seguito: reduce dal campionato olandese, non proprio un torneo di prima fascia, disputa una buona, ma non ottima, stagione d’esordio, lasciando intravedere un fulgido talento ma una discutibile continuità. Una volta reinventato centravanti da mister Sarri, la sua crescita ha subìto una brusca impennata verso l’altro anche in virtù di una inaspettata prolificità sotto porta, che non ha (quasi) fatto rimpiangere la tumultuosa partenza di Higuain. L’amore dichiarato per la città e il suo carattere solare, gli hanno permesso in poco tempo di confermarsi come uno dei beniamini del pubblico di Fuorigrotta.
Storia diversa per il collega Insigne: Lorenzo nasce nelle giovanili del Napoli e, dopo un lungo apprendistato in compagini di provincia, ritorna all’ovile pronto a dimostrare il suo effettivo valore: è con Benitez che inizia a giocare in maniera costante, alternando anche lui lampi geniali a giocate testarde e velleitarie. Il feeling tra il fantasista napoletano e il tifo del San Paolo non decolla, da figlio diretto di quella maglia i tifosi pretendono da lui un apporto forse eccessivo rispetto alle sue pur notevoli qualità. Lui lo percepisce e si acciglia sempre più spesso. Per di più, nemmeno la stampa evita di rincarare la dose quando non indovina la giornata; le uniche voci “amiche” nei suoi riguardi, per fortuna, sono quelle dei tecnici che si susseguono durante la sua militanza azzurra.
Tra i due, è sicuramente Insigne il capro espiatorio preferito dalla folla, quando la squadra non gira o quando si vuole semplicemente giocare a pesare gli errori. Vuoi per il suo carattere fumantino, la poco velata insofferenza alle sostituzioni o, forse, per le sue radici indigene che qui rendono sempre più pesanti i palloni giocabili, invece che di alleggerirli sulla spinta di uno stadio consanguineo.
Mertens, forse proprio per il suo ruolo di parente acquisito del ventre di Napoli, ha subìto molte meno critiche rispetto al suo omologo, pur vivendo anch’egli periodi non particolarmente ispirati all’ombra del Vesuvio.
L’errore, a conti fatti, è proprio quello di stabilire una preferenza netta tra i due partenopei: l’elevare completamente l’uno condannando irrevocabilmente l’altro è un’operazione tanto banale quanto ingrata. Perché, alla luce dei fatti, Insigne e Mertens rappresentano uno dei tandem più complementari dei tempi recenti. Convivendo, o avvicendandosi, hanno rappresentato l’ossatura di un Napoli da vertice che rimane tale ancora oggi. Al netto di ciò quelle che possano essere le carenze tecniche e societarie, questa squadra ha ottenuto 73 punti e un secondo posto matematico, e risulta davvero arduo non trovare una traccia dell’uno o dell’altro azzurro nelle 35 partite che hanno fin qui scandito il campionato. Senza contare il percorso europeo che, fino alla sciagurato collasso dell’Emirates, non può certo definirsi anonimo.
A stagione praticamente conclusa, solo il mercato potrà darci lumi sul futuro dei due talenti tascabili, ma un’esortazione è obbligatoria a prescindere: una piazza che, a dispetto della sua bacheca, ha mostrato impazienza con Benitez, Higuain, Koulibaly e simili, non può e non deve permettersi di solleticare guerre intestine tra elementi che, di fatto, non hanno mai palesato insofferenze né fra loro due nè col resto dello spogliatoio. Non fa bene a nessuno, se non agli avventori del gossip speculativo. Per il resto della platea, invece, il rimpianto è dietro l’angolo.
Se Mertens o Insigne decideranno di lasciare Napoli, non sarà altro che una normalissima scelta dettata da mille comprensibili motivazioni. Se lo vorranno loro.
Se, invece, dovessero venire istigati da fattori esterni, non sarà altro che l’inizio di un altro calvario di illusioni, suffragate dalla labile convinzione che separare due elementi del genere non possa causare contraccolpi. Dove molti saranno convinti di aver guadagnato qualcosa per poi accorgersi di averla smarrita.