“Il Trentino è la sede prescelta per rodare il nuovo Napoli di Carlo Ancelotti […] Carlo ha convocato 23 calciatori per il 10 luglio in Trentino, dove resteranno fino al 30.07 per venti giorni di lavoro intenso, che serviranno a gettare le basi e a preparare un progetto sportivo che si pone come obiettivo la conquista dello scudetto“
All’alba della stagione, sul proprio sito ufficiale, Carlo Ancelotti, chiamato alla guida del Napoli dopo l’addio a Sarri, con un classico “coupe de theatre” del presidente De Laurentiis, si espresse così. Molti sgranarono gli occhi, erano i giorni di Cristiano Ronaldo alla Juventus e a Napoli aleggiava un cauto entusiasmo, nonostante il traumatico strappo e l’addio al Comandante Sarri. Si deve partire da lì, per meglio recepire e decodificare la storia di questi giorni.
Attorno al Napoli, secondo in carrozza, distante anni luce dalla Juve “octoscudettata”, fuori ai quarti dell’Europa League e senza nemmeno il sollievo di poter anelare alla coppa nazionale, si riscontra una certa (e per certi versi ingiustificata) freddezza, dovuta più che al risultato tecnico alla poca chiarezza dei programmi, ai proclami sbandierati e forse un tantino “leggeri” e ad un superficiale approccio comunicativo del club verso la tifoseria.
Il Napoli ha una società sana. Non deve far saltare i conti e non si possono comprare giocatori da 10 milioni di ingaggio all’anno. Le regole del Fair Play Finanziario non lo permettono. Il progetto è serio, continua ma facendo il passo per quella che è la gamba del Napoli.
Ancelotti, non più tardi di due settimane fa, ha tracciato le linee guida del progetto azzurro di qui al prossimo futuro. Il tecnico di Reggiolo, più che altro, ha ribadito quanto già si conosceva da tempo, perché la politica del Napoli è chiara e limpida agli occhi di tutti, da anni. Ma allora come far convivere gli obiettivi tecnici sbandierati non più tardi di qualche mese fa (lo Scudetto) con la strategia di un club che “non può fare il passo più lungo della gamba?”.
La sensazione che il mister abbia corretto il tiro, dal suo approdo a Napoli ad oggi, è tangibile. E’ chiaro che Ancelotti sta conoscendo meglio il club, le sue potenzialità, le dinamiche della piazza e il modo di ragionare della proprietà. E’ altresì evidente che, al momento, non lasci trasparire insoddisfazioni o ripensamenti e che anzi abbia abbracciato a piè mani il modus operandi della società.
E’ palese che il tragitto che divide il Napoli da un ipotetico trionfo nel calcio italiano è molto lungo e difficoltoso, perché strutturalmente il club non può competere con la Juventus e, in prospettiva, nemmeno con l’Inter di Suning, realtà finanziarie di ben altro spessore e con ben altro respiro imprenditoriale.
I dati di bilancio degli ultimi esercizi e le prospettive future non lasciano ben sperare, perché il club è finanziariamente in quel che si dice un cul-de-sac, in un vicolo cieco. E se non entreranno in gioco fattori “strutturali”, come lo stadio di proprietà, nuove politiche di marketing ed una valorizzazione su vasta scala del brand, si potrà davvero solo regredire dall’attuale condizione.
Ma allora, che senso ha ingaggiare un allenatore pluridecorato, un “gestore di campioni” come Carlo Ancelotti, un tecnico dal palato fine, abituato a realtà come Real Madrid, Chelsea o Bayern, in una prospettiva più limitata come quella azzurra? Non era meglio puntare su un allenatore “simil Sarri” andato a prendere ad Empoli? Non era forse meglio Giampaolo?
La contraddizione in termini è oggettivamente evidente e traccia un solco tra realtà fattuale e realtà percepita. Perché usando una metafora automobilistica è come se si desse a Vettel una Toyota Yaris e gli si chiedesse di gareggiare in Formula 1. Carlo Ancelotti a Napoli, in questo Napoli, è un ossimoro calcistico, una contraddizione in termini, un azzardo scenografico, un colpo da illusionista più che esperienza concreta di un progetto calcistico vero e proprio.
Il Napoli ha scelto di offrire un’immagine di sé non coerente al suo vero volto. Ed è naturale e persino matematico che è proprio in questa discrepanza tra sostanza e forma, nelle pieghe di un’ontologia calcistica, che si dipana lo sciame sismico di malcontento, polemiche e veleni che sferza Napoli dalle sue fondamenta. E’ qui che si innesca il cortocircuito.
De Laurentiis sembra in balia di sé stesso, troppo orgoglioso e fiero dei suoi risultati, per poter ammettere i suoi limiti. In questi anni il presidente ha sovradimensionato il Napoli, lo ha fatto con bravura ed un pizzico di fortuna che non guasta mai, ma non ha avuto evidentemente il coraggio o la forza di osare, di investire, per creare una realtà imprenditoriale forte e moderna, capace di competere davvero con i potentati calcistici del paese.
Non è reato, attenzione! Non ci vediamo alcunché di male in questo, perché nel calcio e nella vita non esistono le pretese, non sono ammessi gli obblighi e il Napoli non “deve” vincere, fissiamocelo come principio nelle nostre teste una volta per tutte. Ma quello che il Napoli può e deve fare è essere chiaro e coerente con sé stesso e con le proprie reali possibilità.
Si abbia il coraggio di perseguire la strada migliore e più coerente, di scegliere il percorso adatto alla propria dimensione. Si punti su un Giampaolo (non ce ne voglia il buon Marco, tecnico di valore e persona squisita) qualunque e non si spargano illusioni dietro a nomi pluridecorati, solo per il gusto di vendere sogni.
Il Napoli deve avere il coraggio di parlare alla pancia della piazza, di spiegare chi è e cosa può fare. Solo così si può riappropriare del proprio popolo e solo così potrà crescere davvero, senza inutili ambiguità e con fiera e fulgida chiarezza.