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Il teatro è vita, la vita è un teatro

L’ufficialità di Maurizio Sarri sulla panchina della Juventus ci ha ricordato il buon Nino D’angelo che, al gol di Koulibaly un anno orsono, ha sfogato tutta la sua gioia in un video che ha fatto il giro di tutti i social: “è succies, è succies!”, urlava il cantante pervaso dalla gioia.

Ebbene si, è successo. Ma stavolta la gioia c’entra davvero poco:

Maurizio Sarri, il “Comandante”, il lanciatore dell’assalto al Palazzo più esplicito della storia recente, il mostratore del dito medio a chi ha osato offendere i napoletani, colui che ha consumato la vecchia pista di atletica dello stadio San Paolo per raccogliere gli applausi dei partenopei e custodire in un cuore di pietra l’essenza della napoletanità, è il nuovo allenatore della Juventus.

Eppure, con grande stupore, il sentimento prevalente in noi non è la delusione bensì la consapevolezza.

Quella di aver dato nel corso degli anni ai protagonisti di questo sport più valore di quanto in fondo ne abbiano realmente meritato; la consapevolezza di aver idealizzato chiunque che, per bravura, astuzia o semplicemente fortuna, ha fatto di questo sport uno dei mestieri più remunerati al mondo.

Ci siamo sentiti dei coglioni.

Sacrifici su sacrifici, momenti adrenalinici al limite del blocco cardiaco, lacrime. Tutto questo è stato per chi vi scrive il gioco del calcio sino ad oggi. E tutti gli attori di quello che ci è sembrato uno spettacolo irrinunciabile sono diventati idoli intoccabili, bandiere intramontabili, icone inappellabili.

Tutto sbagliato. Tutto esagerato.

A Maurizio Sarri diciamo grazie, perché il crollo dell’ultimo baluardo ci ha disincantato, ci ha fatto espellere dalle vene quella inconcepibile ed illogica frenesia che si è sempre impossessata di noi al cospetto degli attori del gioco del calcio.

Già, attori.

Negli occhi di Sarri avevamo visto identità napoletana svincolata dall’opportunismo, avevamo visto sincerità. Avevamo visto male.

Si trattava della perfetta impersonificazione di un ruolo ad opera di un uomo intelligente che ben conosceva la strada da percorrere per farsi amare da una città intera.

Altro che amore, era un calesse trainato a fatica da un ciuccio che era l’unico a conoscere all’epoca l’amaro epilogo di oggi.

Gli ultras hanno ragione: esiste solo la maglia. Fissiamocelo bene in mente: tutti i lavoratori del pallone sono opportunisti con la passione del teatro. Salgono su di un palco e recitano la parte che gli è stata assegnata. È la platea che sbaglia a decantarli oltremodo, è il pubblico che crea miti invisibili. Loro giocano al calcio e si mostrano così come noi li vogliamo. Sono gettati in pasto al turbinio mediatico e rispondono con la recitazione che rispetta un copione. Fanno gli attori, attori fortunati, scaltri e opportunisti: si guardano attorno, studiano la platea e gettano in pasto al pubblico ciò che il pubblico desidera. Una equazione semplice semplice che consegna loro permanenze gioviali in terre sconosciute e lauti ingaggi per sé e per i posteri. Il tutto, racchiuso nel più banale degli aforismi: “l’amore è eterno finchè dura”.

Maurizio Sarri alla Juventus è quanto di più clamoroso potesse materializzare il concetto astratto del tradimento.

E’ venuto il momento che il pallone dell’enfatizzazioni, delle esagerazioni e dei falsi miti si sgonfi.

Vorremmo che Maurizio Sarri fosse l’ultimo dei protagonisti del pallone al quale è stata affidata la nostra totale fiducia.

Da oggi in poi, vorremmo che i protagonisti venissero apprezzati, incitati, ma non amati. Perché l’amore e il rispetto sono un’altra cosa.

Un qualcosa che, forse, nemmeno esiste. Vero, William Shakespere?

About author

Guido Gaglione è docente di arte e immagine, operatore di ripresa e giornalista pubblicista dal 2015.
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