Sembra la sceneggiatura di uno di quei film italiani degli ultimi anni. Quattro personaggi, ognuno con il proprio vissuto più o meno longevo, un luogo all’estero in cui si svolge la storia. Alti e bassi, piccoli drammi, colpi di scena e finale, che poi è un rimando ad un futuro sequel, in qualche modo a lieto fine. Nella patria di Mozart il Napoli non è stato certo degno di una sinfonia, ma i tre punti che gli azzurri portano via dalla Red Bull Arena hanno il pragmatico sapore della qualificazione.
ALEX
Gli negano l’Italia, lui si prende l’Europa. Il titolo, in diverse salse, campeggia un po’ ovunque nei siti sportivi napoletani. Alex è un ragazzone di quasi due metri che incarna alla perfezione il concetto di portiere moderno: comanda la difesa, è bravo nelle uscite e tra i pali è molto reattivo. Gode di ottimi fondamentali, un portiere completo. A Salisburgo Alex toglie letteralmente tre palloni dalla porta. In due occasioni si trova a tu per tu con Haland: prima di piede, poi in uscita bassa, Alex nega il gol al ragazzino terribile in maglia rossa. Il biondo centravanti poi lo infila due volte, su rigore e di testa, dimostrando ancora una volta di essere un fenomeno vero del calcio che sarà. Ma fa parte del gioco, e Alex lo Sto arrivando!. Poi è il momento della parata della serata, quella che vale un gol. Pallone che spiove in area alla sua sinistra, diagonale di Daka a incrociare e palla all’angolino. Sembra gol, ma all’ultimo momento spunta la manina di Alex, che schiaffeggia la sfera e la manda a lato. E’ un portento Alex, su di lui non c’è altro da aggiungere.
DRIES
Ormai fa notizia per le sue esultanze borderline, non più per i suoi gol. Anzi, una notizia c’è: all’alba della sua settima stagione in azzurro Dries fa meglio di Diego. Centosedici gol all time per il belga. A proposito di sceneggiature moderne, sul suo profilo Instagram Dries pubblica un fotomontaggio, lui e Diego che esultano insieme: “Grande Dries, sono il prossimo”, commenta in calce un certo Marek. Dries, detto Ciro, non è mai stato e mai sarà un centravanti. Ma cosa significa di preciso svolgere il ruolo di centravanti? Chissenefrega, vi risponderà lui, uno che in area di rigore è capace di tutto. In poco più di sei anni ha dato sfoggio di qualsiasi cosa si possa pensare di bello all’interno di un’area di rigore: serpentine, tiri a giro, conclusioni di potenza, pallonetti, respinte vincenti, gol di rapina. Per non parlare, al di là dei gol fatti, del contributo dato alla causa azzurra.
LORENZO
La tribuna contro il Genk, titolare contro il Verona con l’assist per il secondo gol di Milik. A Salisburgo la sua sfida decisiva di questo scorcio di stagione. Panchina, ingresso in campo con la partita che vive nell’incertezza, pareggio austriaco. Calcio d’inizio, palla lunga, Mertens che scodella un pallone in mezzo che Lorenzo raccoglie e insacca. Poi l’urlo di gioia, Lorenzo non sa ancora che quello sarà il gol decisivo. La corsa verso la panchina, tutti sommergono un ragazzo di un metro e sessantatré per cinquantanove chili. Lui emerge dal capannello umano e prende Ancelotti per il bavero della giacca, gli urla qualcosa che sa di dedica rabbiosa, ma voluta. Come un dipendente con il suo datore, come un figlio contro il padre che non crede molto nelle sue capacità. Poi arriva il lavoro fatto alla grande, l’ottimo voto preso nella materia in cui il ragazzo è carente. Ed eccolo qua l’urlo, qualcosa tipo “hai visto? Ce l’ho fatta”. Teniamolo tutti bene a mente quel fotogramma, un fermo immagine che è l’istantanea finale di un infinito piano sequenza. Lo ricordi soprattutto Lorenzo, che a suo dire ha “sbagliato qualche atteggiamento”, affinché l’acqua (appantanata) sia passata per davvero e non torni più a scorrere tra i due.
CARLO
Infine c’è Carlo, il più anziano dei personaggi. Un papà, un fratello maggiore, uno che ne sa più di tutti ma che non ha l’aria di quelli che pontificano dal pulpito. Carlo non è certo uno di quelli che si definiscono maestri di calcio. Non insegna, al massimo esprime il suo punto di vista, consiglia. I suoi allievi al Milan raccontano che prima delle partite decisive di Champions, Carlo intratteneva tutti con storielle divertenti e racconti sulla preparazione del bollito. Qualcuno osava chiedere un’ultima indicazione sulla marcatura o sui movimenti da fare in campo, lui rispondeva: “cosa devo dirti? Tu sai cosa fare”. Con quei ragazzi di Champions ne vincerà due. Con Lorenzo è stato così. Carlo va da lui e gli dice che non è tra i titolari, ma giocherà e sarà decisivo. E’ andata esattamente così. Non è un profeta, un mago o uno che possiede poteri paranormali. Carlo è semplicemente un grande allenatore. I grandi allenatori non sanno cosa succederà durante una partita, ma con la loro bravura indirizzano gli eventi di modo che poi accada esattamente ciò che avevano immaginato il giorno prima. Contro una squadra che pressa a tutto campo, che schiera dal primo minuto quattro attaccanti e che gioca l’intera partita a ritmi forsennati, Carlo ha una sola certezza: mettendola sul piano del ritmo si finisce con le ossa rotte.
E allora la ribalta. Abbassa la velocità del gioco, arretra la difesa, se necessario allunga la squadra per sfruttare il contropiede. In una sola parola: si sacrifica. E alla fine vince. Per carità, a fine ottobre non si è mai vinto nessun trofeo e chi pensa che la terza partita di un girone di Champions rappresenti un punto d’arrivo, per favore, esca dal campo e non rientri finché non ha cambiato idea. Salisburgo è una tappa, un tratto di strada di un cammino lungo mesi e chilometri.
Ma la strada intrapresa è quella giusta. Il Napoli non ha fatto un’impresa battendo i tori nella loro arena, perché non parliamo del Real Madrid o del Bayern Monaco. Però i connotati del colpaccio ci sono tutti, considerato che solo in competizioni europee gli austriaci non perdevano in casa da 19 partite. I ragazzi in maglia azzurra devono riguardare questo film, più volte se necessario. La consapevolezza di aver messo a segno un gran colpo sarà un elemento fondamentale nelle prossime partite.