Oggi Diego Armando Maradona compie 59 anni. Vi siete imbattuti in una frase priva di enfasi? Non è un caso. Per l’amor di dio, gli auguri al Pibe de Oro li facciamo, ma non andiamo oltre. Siamo diventati un pochino allergici agli eccessi di venerazione, ai cosiddetti “vuommoche”. Ma cosa c’entra Maradona con i vuommeche? Forse niente, ma da Napoli, in direzione Maradona, partono troppo spesso messaggi pregni di leziosaggine e smanceria.
Diego ha rappresentato tanto per questa città, l’ha portata a vincere e questo non lo dimenticheremo mai.
Non ci prendete per commentatori freddi ed irriconoscenti, siamo tra quelli che piangono ancora ad ogni visione di quelle immagini ormai sbiadite risalenti a trent’anni fa. Semplicemente non ci va di far passare Diego Armando Maradona per un Dio, non lo è. E’ un uomo che ha scelto di venire a Napoli per dare una sterzata alla sua carriera, negativamente segnata dalla sfortunata parentesi catalana. E’ un professionista del pallone che ha imparato ad amare questa città, che ha provato un sentimento viscerale che ha fortificato il proprio IO. Napoli ha reso Maradona un uomo consapevole, l’ha consacrato, l’ha reso eroe.
Diego, dal canto suo, ha messo a disposizione della città partenopea il suo carisma, il suo spirito da condottiero, ma ha anche mostrato la sua parte debole, la sua fragilità, quell’intima gracilità umana che ha talvolta trasformato Napoli in carnefice ingrata piuttosto che culla ovattata.
Usciamo dagli equivoci: non è in orso una competizione tra i reciproci affetti per poi magnificare quello vincente, Napoli e Maradona rappresentano, semplicemente, un matrimonio ben riuscito, fatto, come tutti i matrimoni, di alti e bassi, di convenienze reciproche, di screzi e sbaciucchiamenti.
Della permanenza di Diego a Napoli – dunque – non vanno solo ricordate le vittorie, le conquiste, le lacrime di gioia e i sassolini tolti dalle scarpe nei confronti delle potenze calcistiche del nord, ma anche le fughe dell’argentino nella terra natia prive della volontà di rientrare a Napoli, le continue pressioni (puntualmente rispedite al mittente fino alla cessione al Siviglia), fatte a Corrado Ferlaino affinchè potesse lasciare una città che lo stava opprimendo.
Sia chiaro, quelle che stiamo elencando non sono colpe dell’argentino, sono semplicemente esigenze, legittime esigenze. Come quelle di tutti i colleghi meno celebri del Pibe de Oro che hanno amato Napoli come lui ma l’hanno anche sopportata e, a un certo, punto respinta, allontanata.
Si tratta di dinamiche che fanno parte della vita, sono sfumature di grigio in un mondo che non è né bianco né nero.
Gli estremi non ci sono mai piaciuti. Quindi, auguri, Diego. Anche se, farteli senza enfasi, può sembrare davvero estremo.