Sei reti. Cinque marcatori. Tra i due fattori, il suo nome che latita.
Victor Osimhen non è ancora uomo da tabellini, forse risulterà anonimo agli occhi di chi segue le partite refreshando qualche app di risultati sportivi. Perché le prestazioni di Victor vanno guardate, non lette: è noto che la fame, il coraggio, gli strappi e l’aggressività non emergono consultando due statistiche. Inutile, forse limitante, descrivere il moto perpetuo che caratterizza il giovane atleta ossigenato; forse addirittura dannoso tracciare linee di qualcosa che, più che vedersi, si respira. Tutto ciò che è poco visibile, al nigeriano riesce con una naturalezza estrema; ogni movimento, comprese le corse a vuoto, è volto a semplificare la vita del reparto tutto.
Soprattutto, la nuova punta azzurra ha riportato in auge due sensazioni rimosse da un po’: l’apprensione e il sacrificio. Impressioni all’apparenza avulsi tra loro, ma entrambi frutto di una enorme dedizione al lavoro e al gruppo.
L’apprensione, con tutta probabilità, è il primo sentimento che pervade la retroguardia avversaria nei confronti del corazziere di Lagos: se nella prima col Parma il suo subentro poteva considerarsi come una repentina esplosione di muscoli e ferocia, la recente prestazione casalinga ha iniettato continuo timore nella testa e nelle gambe dei genoani, capitolati irrimediabilmente nella ripresa. In sole due partite l’ex Lille ha già scalato diverse tacche del suo metro di potenzialità. Tutto questo, senza nemmeno concedersi la summa capitale di un attaccante: il gol.
Il sacrificio è invece il messaggio lanciato a spron battuto dal neoacquisto partenopeo, quasi a dimostrare che la fatica è altro, che gli sforzi veri sono quelli lontani dal rettangolo verde. Atteggiamento propedeutico a un ottimale inserimento in uno spogliatoio, seppur caloroso, non privo di criticità intestine. Piccoli, importanti segnali di campo, forieri di un cambiamento collettivo che non possono che giovare alla carriera di un ventunenne ambizioso.
Il giovane Victor, in poco tempo, palesa già l’attitudine a spiazzare: dopo una cascata di gol in precampionato, tutti si sarebbero aspettati un inizio stagione da bomber, mentre così non è stato. Se possibile, si è distinto ancora di più: senza ancora nessuna rete all’attivo, ha ribadito la sua irrinunciabile essenzialità nel giro di una partita e mezza, “solo” mangiando erba e bruciando il tempo agli avversari. Lavoro, questo, considerato basico per un avanti di queste caratteristiche. Lavoro che spesso si pretende, si dà per scontato, si minimizza. Ma quanto era mancato agli azzurri? Tantissimo, così tanto che tutti avevano dimenticato se ne potesse beneficiare. Perché lunga vita ai record di Mertens, alle invenzioni di Insigne, all’archivio dei tagli di Calleti, ma una torre che fa ombra ai difensori può regalare un impagabile sentore di dominio.
Nonostante i pochi elementi di giudizio, la personalità di Osimhen è già pronta a dare sportellate a detrattori dell’ultim’ora, idolatri precoci e, più di tutto, avversari in campo. Qualsiasi giudizio ad ora risulterebbe affrettato, così come è sbagliato convincersi che il solo Victor sia sufficiente a cancellare i momenti bui della compagine napoletana. Tutto ciò che oggi sussiste è un gruzzolo di ottime premesse. Renderle solide, è responsabilità di tutti: se il ragazzo si applica, il resto del gruppo è obbligato a non sbandare.