Gli ultimi minuti vissuti con un crescendo emotivo senza precedenti.
Lo vedi sempre più grande, sempre più vicino, sempre più tuo.
Il cronometro corre veloce, sul campo la melina la fa da padrona.
La paura dell’ulteriore rinvio si allontana.
Ormai la miccia è accesa. Pronta ad esplodere.
Il cuore batte forte. Gli occhi si riempiono di lacrime.
Al triplice fischio l’urlo è liberatorio. E’ una sorta di inno all’esistenza.
Ma il destino di questo scudetto è l’attesa.
E così, anche la nostra gioia rimanda la deflagrazione.
Anche le nostre lacrime si cristallizzano.
L’invasione di campo è ciò che non ti aspetti.
E’ ciò che ti mortifica.
Vedere il fastidio piuttosto che la felicità sul volto dei protagonisti è qualcosa che infastidisce assai.
Una gioia che era lì, che meritava spazio per essere liberata e che invece è stata soffocata dalla invasione di parte dei tifosi azzurri presenti al Dacia.
Assediamenti, abbracci pretesi, pacche sulle spalle o sulle pelate.
Schiaffi ai napoletani composti ed educati incollati alle tribune dello stadio udinese.
L’immagine sfocata della Napoli che non ci piace e che non ci rappresenta ci ha mummificato la gioia.
Avremmo voluto vedere i tesserati azzurri liberi di esprimere la felicità e invece abbiamo visti desiderare la strada per gli spogliatoi.
Poi la nebbia si dirada e lascia spazio a visioni paradisiache.
La festa, quella vera, esplode ovunque.
E, con essa, anche il nostro orgoglio.
Si, orgoglio. Perché quel tricolore questo è.
Orgoglio di essere figlio di questa terra.
Questo tricolore è un inno all’uguaglianza. E’ una condanna atroce alla discriminazione.
Questo tricolore è la voce di chi ha valori, princìpi, contenuti e sentimento.
Questo tricolore è il trionfo di chi merita considerazione, luci, riflettori, eco.
E’ un calcio nel culo a chi quotidianamente ne evidenzia criticità e aspetti negativi.
E’ la condanna definitiva a chi gode dei difetti altrui proprio perché inconsapevole della pochezza propria.
E’ la vittoria di una organizzazione societaria fedele alla correttezza.
E’ l’affermazione della trasparenza, del successo pulito.
E’ la vittoria di un Presidente che lascia conviverei i propri difetti con intelligenza, lungimiranza e leadership che non hanno eguali.
E’ l’impresa di un uomo forte dal destino forte.
Un uomo che piange perché custode di valori pregnanti. Un uomo fortemente legato ai sentimenti e ai legami veri.
Quelli che hanno disegnato ogni curva della sua esistenza e dei suoi affetti.
Un uomo che ha inculcato in ogni suo calciatore la fiducia di cui ogni essere umano avrebbe bisogno.
Quella che diventa benzina dei successi. Quella che trasforma la mortificazione in gratificazione. L’implosione in esplosione. La tristezza in felicità.
Questo scudetto è l’affermazione di ragazzi normali che hanno dato vita ad una stagione anormale per quanto bella e trionfale.
Una stagione che è un manifesto alla vita, goduta fino in fondo, vissuta in tutti i suoi attimi.
Una vita fatta di voglia di lottare, di vincere, di rialzarsi immediatamente a seguito delle cadute.
Una vita desiderosa di abbattere stereotipi e preclusioni a favore del rispetto. Delle idee. Delle opinioni. Delle posizioni. Dell’identità.
Questo è anche lo scudetto degli avversari.
Quelli onesti, quelli obiettivi. Quelli dotati di senso di sportività. Quelli capaci di tendere la mano a chi merita. Quelli avulsi da qualsiasi tipo di pregiudizio.
Questo scudetto è anche un po’ nostro.
Che abbiamo cercato di raccontare senza giudicare.
Narrando liberi da tutto e da tutti.
E’ lo scudetto di tutti coloro che amano questa città.
Al netto delle sue criticità. Al netto delle sue pecche. Al netto degli aspetti che ci fanno arrabbiare. Al netto di tutto ciò che è manifesto dispregiativo.
E’ lo scudetto di chi ama.
Perché chi ama, ama e basta.
E di sospeso non ha nulla. Mai.