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La mezza guerra fredda

Una non notizia, le dichiarazioni di Milik: piuttosto un copione sciapo, dal tono passivo-aggressivo, trito e ritrito e che rifugge da tutto ciò che amiamo di questo sport.

Dopo un finale di scorsa stagione non proprio di livello, il polacco azzurro ha ricevuto contatti da diverse e importanti società; ma ogni trattativa si è sempre arenata quando pareva di poter raggiungere il climax. Dopo un silenzio, più noioso che assordante, l’attaccante non rinuncia alle solite dichiarazioni in terra natia, ormai consuetudine delle pause nazionali:

Fin dall’inizio, ero determinato a separarmi pacificamente di comune accordo. Non ho scavalcato nessuno. Non puoi dare la colpa a un giocatore che non se n’è andato se non è stata colpa sua.

Queste le esternazioni, legittime, da parte del quasi ex-azzurro. Frasi ovviamente circostanziali, rasserenanti e, per la verità, anche abbastanza prevedibili: perché mai si dovrebbe cercare uno scontro a priori col proprio datore di lavoro. Un leggero spunto può nascere dalle frasi che seguono:

Il Napoli, poi, non comunicava coi club dove sarei voluto andare.

Una chiara accusa alla società azzurra, con la quale c’era una volontà reciproca di affrancarsi; il punto è: perché il club avrebbe insistito a ostacolare un’operazione comunque vantaggiosa per entrambi? Chiaro che sia una risposta troppo semplice per una problematica fin troppo articolata, con la sola funzionalità di proteggersi, più che spiegare. Del resto, non è nemmeno l’unico intervento che alimenta interrogativi piuttosto che soddisfarli.

Credo di essere stato trattato male alla fine. Il club ha altri giocatori che non hanno rinnovato i contratti, e con loro è tranquillo. 

Anche in questa occasione, non si fa luce su nessuna pendenza: è semplicemente una legittima confessione di tempi difficili, ma anche in questo caso: perché? Perché tra tutti i contratti in sospeso, proprio quello del polacco è stato foriero di una convivenza deleteria? Naturalmente, dalla Polonia non arrivano ulteriori chiarimenti. La buona notizia è che, in effetti, tutto ciò non deve interessare.

Onestamente, queste scaramucce dialettiche hanno saturato il già affollato mondo del calcio attuale. Alla fine, queste guerre tra “poveri” fungono ormai da riempitivo tra un acquisto e una cessione in fase di mercato; in tutta franchezza, a che serve? Quanto può soddisfare un calciofilo medio seguire uno sterile scambio di battute tra una società e un suo dipendente? Se poi aggiungiamo che almeno metà degli scambi sono battute di circostanza, l’attività risulta ancora più frustrante. Tutto ciò che ne risulta è un inutile crogiuolo di informazioni fini a loro stesse, utili soltanto a intrattenere i tifosi con telenovele scialbe e dai tempi dilatatissimi. In breve: una noia, che appare necessaria quando la squadra del cuore non gioca, per riempire i vuoti che l’assenza di calcio giocato crea. Ma che alla fine dei giochi, sempre noia rimane, anche se ce ne accorgiamo dopo. Sia chiaro, non che debbano essere vietate, ma che almeno si prendano per ciò che sono: indiscrezioni. Di peso, stabilità e concretezza variabili.

In un momento così unico e delicato dove anche seguire una passione comporta, giustamente, delle responsabilità sociali, è importante discernere la costruttività dal chiacchiericcio stantio, voluto o meno. Tutta questa pantomima, in sostanza, si avvicina molto al secondo insieme. Ne sono consapevoli calciatori, presidenti e tutte le figure, che replicano stancamente tra loro con argomentazioni scontate e mai critiche. Senza rancore, ma anche alla banalità c’è un limite.

Con buona pace di tutti.

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Aspirante scrittore, ossessionato dal cinema, dal Napoli e dalla lettura. Precario emigrante in virtù dell’affitto da pagare.
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