Il caos giudiziario che ha avvolto il Napoli negli ultimi giorni, se non altro ha distolto l’attenzione dalle le ultime imprese sul campo. L’ultima prestazione, con molta probabilità, funge da corollario a un trend di respiro più ampio e incisivo per gli azzurri, corsari in terra felsinea e protagonisti di una vittoria preziosa ma poco scintillante.
I numeri suggeriscono una prestazione con pochi sussulti, di netta supremazia napoletana per quanto concerne le conclusioni offensive. Statisticamente vero ma di fatto poco esaustivo come dato.
Il campo, infatti, descrive una compagine ordinata, essenziale e, a tratti, anche elegante. Salvo poi smarrirsi in inutili leziosismi una volta trovato l’esiguo vantaggio.
È fisiologicamente attendibile un atteggiamento indolente, soprattutto considerando la frequenza di partite da disputare in questo periodo; si può anche discutere di un arbitraggio imbarazzante che ha palesato diverse insicurezze da parte del direttore di gara. Ciò che veramente preoccupa, però, è la recidività.
Sono ormai diverse gare che i partenopei scendono in campo senza mordente, quasi convinti di un verdetto divino che darà loro ragione su chiunque; i pochi tiri subìti non sono più un dato rassicurante, se a questi non corrisponde un’adeguata prolificità in zona gol, anche perché la storia recente ha dimostrato che le disfatte possono avvenire pur concedendo pochissimo.
Altro fattore inquietante è la tenuta fisica del gruppo di Gattuso: oltre alla scarsa lucidità di alcuni elementi, forse sovrautilizzati, la tendenza a non chiudere le partite porta inevitabilmente a non poter allentare mai la tensione, prolungando lo sforzo durante tutti i novanta minuti, abitudine che potrebbe pesare a lungo termine, nonostante la profondità della panchina.
La sensazione più fastidiosa, infine, è quella di percepire delle insicurezze croniche in chi scende in campo, insicurezze che periodicamente fanno capolino quando si alza l’asticella degli obiettivi. A nulla sono serviti i leader tecnici del recente passato, o meccanismi di gioco orchestrati a menadito: l’undici di Fuorigrotta pare destinato a smarrire la sua strada quando imbocca sentieri troppo impegnativi. Una sintesi di questa condizione è proprio l’intervista del mister dopo la trasferta emiliana:
Il modulo? Sento parlare troppi professori in televisione
[…] lasciateci lavorare, senza fare pressioni a questi ragazzi, che sono giovani e ogni tanto hanno giornate no. Sul modulo, mi rompevano le scatole che dovevo passare al 4-2-3-1, ora per una partita persa e giocata meno bene, dovevo cambiare. Fate sbagliare me, se succede me ne vado a casa.
Le parole di Gattuso sono schiette ma significative: questo gruppo è fragile, di una fragilità che può essere lenita solo somministrando certezze: che siano moduli, obiettivi o idee di gioco, i ragazzi hanno bisogno di continui riferimenti. Rino ha percepito tutto questo e si è schierato sulla difensiva per ciò che riguarda scudetti o titoli prestigiosi, in quanto fuori luogo sia per il momento in corso, sia perché sarebbero nefasti per uno spogliatoio che ha bisogno di continui incoraggiamenti, avendo più volte dimostrato una umoralità ciclica e radicata. Difficile da accettare, ma bisogna conviverci. Convivere con la certezza che, oltre un certo livello, compromettere gli equilibri sarà facilissimo e, quando accadrà, il lavoro per riassestare il tutto sarà moltiplicato, oltre che passibile di errore.
Forse questa squadra non sarà mai pronta a guardare negli occhi le avversarie che vuole spodestare, forse vive del lascito di un popolo lunatico quanto lei o forse, negli anni scorsi, non ha fatto altro che accompagnarci in illusioni troppo abbaglianti per poterle analizzare lucidamente. Tutto è possibile. Sarà, invece, meno possibile farsene una ragione.