Avete provato a dare un significato alle lacrime di Lorenzo Insigne? Oppure vi siete limitati a giudicarle?
Magari avete pensato che sono lacrime di chi ha perso una partita di calcio ed è andato in frustrazione. Oppure avete immaginato fossero lacrime versate da un immaturo incapace di accettare una sconfitta.
Niente di tutto questo.
Dietro quelle lacrime c’è un uomo che sente una responsabilità.
Ma per comprendere questo bisogna leggere intimamente questo vocabolo. Cosa è una responsabilità e quanto pesa sentirla?
Diciamo subito una cosa: chi la sente è una persona sensibile. Non è da tutti. Non è per tutti.
La sensibilità è di chi non è egoista, è di chi sente l’esigenza dell’altro, è di chi si pone i problemi per gli altri, è di chi ci tiene alla felicità altrui, è di chi è capace di vedere oltre il proprio naso, è di chi non vive solo per sè stesso.
La sensibilità è la spina dorsale delle persone belle, quella dotate di animo puro, leale, vero.
Lorenzo ha pianto perché ha immaginato i suoi conterranei piangere. Ha sentito il loro dolore. Ha percepito la loro sofferenza.
Sbagliare quel calcio di rigore, oltre che una delusione personale ha rappresentato per Il Magnifico aver tradito la sua città e aver deluso la sua gente.
Ma al di là dell’errore di ieri immaginatelo questo giovanotto che praticamente da sempre cerca disperatamente di farsi voler bene dal suo popolo, che cerca di ergersi ad icona di una napoletanità che conta, che ha come obiettivo sentir parlare di sé come colui che ha reso felice i suoi estimatori.
Cosa significa vivere tutti i giorni così? Cosa vuol dire subìre variazioni di opinioni sul proprio conto, di pareri e modi di porsi, in base al risultato della domenica?
Chissà le sue orecchie quante volte avranno udito i vari suoni onomatopeici contrastanti
“Insì, vattenn”
“Insì, si ‘o nummer uno”
Tutti i santi giorni così. Lui, tutti giorni così. Ma anche i suoi familiari, rei o eroi conseguenziali.
Certo, la gloria. Certo, la popolarità.
Ma provate ad immaginare cosa possa significare uscire di casa con difficoltà, dimenarsi tra fiumane umane che ti cercano per idolatrarti o per dedicarti un bel vaffa. E non pensate ai soldi. I calciatori sono talmente assuefatti da una realtà sovradimensionata che manco ne giovano più, nè del privilegio mentale né di quello concreto.
Non è facile. Non è per niente facile.
Insigne avrebbe potuto andar via negli anni scorsi, in molti momenti è stato in procinto di farlo ma non lo ha mai fatto.
Atto estremo d’amore per questa città o eccesso di paura di fare un salto che lo catapultasse lontano dalla realtà provinciale (Napoli lo è al cospetto del mondo) in cui viveva?
Difficile stabilirlo. Forse sono vere entrambe le cose.
Una cosa è sicuramente insindacabile: Lorenzo ama Napoli e si trascina da anni il peso del giudizio della sua gente.
Desidera essere amato, apprezzato, stimato. E non dobbiamo temer di dire che questa città, ingiustificatamente, non l’ha mai amato incondizionatamente.
Cosa deve fare Lorenzo per essere amato sempre e comunque? Essere come Maradona? Come Cristiano Ronaldo? Come Messi? Non sarà mai nulla di tutto ciò, è lontano anni luce da queste irrangiungibili icone.
Insigne deve essere amato per quello che è: Insigne. Un calciatore imprescindibile per quella che è la dimensione attuale della squadra in cui gioca.
Se tutti imparassimo ad evitare il sovradimensionamento sia delle potenzialità del Napoli che di quelle dei suoi calciatori saremmo, forse, tutti meno scontenti.
Non solo. Daremmo anche maggior serenità a chi viene sempre e comunque sballottato nell’altalena dei giudizi. Lacrime comprese.