Chi pensava che portare la tecnologia nel calcio, come già da anni accade in altri sport, potesse servire a placare le polemiche che il pallone si porta dietro, si è dovuto ricredere in poco tempo. Sono bastati un paio di errori, statisticamente inevitabili, oltre alla solita ignoranza da parte di chi commenta gli episodi nei rinomati salotti televisivi, per far sì che da più parti se ne chieda già la rimozione.
Chiariamo subito subito due cose. La prima: ad oggi, gli episodi in cui legittimamente il VAR ha corretto errori arbitrali superano di gran lunga quelli rimasti controversi. Nel caso del gol annullato a Mandzukic, per fare l’esempio più eclatante, il protocollo è stato applicato correttamente. La seconda: questo non è un attacco personale ai vari Massimomauro di turno, bensì una considerazione ampia sul pessimo stato di salute dell’intera classe arbitrale italiana.
Nelle prime sette giornate di campionato, tanti sono stati gli episodi in cui il direttore di gara ha fermato l’azione, facendo il gesto dello schermo al fine di rivalutare la sua precedente decisione. Gli episodi hanno riguardato un po’ tutti, per cui è inutile, almeno per ora, parlare di relazioni statistiche tra il numero di consultazioni e la singola squadra. Diversamente, è più giusto denotare che laddove ci sono in ballo punti pesanti, oppure partite di particolare interesse mediatico, di quelle decisioni si parla di più.
Con specifico riferimento agli episodi nei quali è stata coinvolta la Juventus, d’altro canto, appare alquanto divertente notare il cambiamento di opinione da parte degli addetti ai lavori, soprattutto quelli vicini agli ambienti bianconeri.
In estate era abbastanza generalizzata la convinzione sull’inutilità della tecnologia in presenza di una squadra nettamente più forte. Al primo video-episodio contrario, contro il Cagliari alla prima giornata, il 3-0 finale in favore degli uomini di Allegri e la parata di Buffon hanno relegato a fatto di contorno il rigore prima non visto e poi concesso ai sardi.
Ci sono volute sette giornate e un impatto pesante sul risultato per dare inizio all’inevitabile levata di scudi. Nessuno si azzarda a criticare Dybala, annullato dalla marcatura di Palomino e autore dell’errore dal dischetto, mentre sotto accusa finisce lo strumento di assistenza all’arbitro.
Ecco il passaggio chiave, un rettilineo che conduce verso un sentiero pericoloso. Non si parla di Damato, né dei suoi assistenti, né tantomeno dei due arbitri dietro lo schermo. Vengono fatti salvi i singoli, si condanna il meccanismo nella sua interezza.
E’ la fine del calcio, si è detto. Forse sarebbe il caso di cambiare l’articolo in quella frase, nel senso che è la fine di un calcio: quello in cui l’arbitro è poco tutelato se prende decisioni “scomode”, mentre è schermato nel momento in cui favorisce la squadra più forte, perché tanto alla fine “gli errori si compensano” e “la squadra più forte è quella che vince”.
Facciamo invece che, almeno nella partita singola, le decisioni vengono prese equamente, seguendo il regolamento, senza rassegnarci all’italico “tanto avrebbero vinto comunque”. Anche questa è cultura sportiva, tanto invocata dai sospettosi commentatori che invitano a fidarsi di più degli arbitri. Così come è cultura sportiva, e buon senso anche, ammettere che l’odierna classe arbitrale italiana, usando un eufemismo, non è la migliore di sempre.
Sapere di avere a disposizione due colleghi che, in modo più disteso e meno frenetico, possono aiutare l’arbitro a migliorare le sue prestazioni è innanzitutto un’iniezione di fiducia per loro. Nondimeno, questo è il primo passo verso il miglioramento dell’intero sistema arbitrale nazionale. Al di là dei singoli errori, che ci sono stati e in questa prima fase continueranno ad esserci, il VAR è promosso, ed anche a pieni voti.