Nell’immediato dopo partita di Inter-Napoli e in questi giorni successivi, il dibattito sembra essersi concentrato sul dubbio amletico to crederci or not to crederci, this is the problem. Al netto, chiaramente, della discussione sull’ennesima imbarazzante uscita di Sarri. Noi speriamo sempre che, prima o poi, al nostro tecnico sarà chiara la differenza tra il parlare davanti a microfoni, invece che tra amici con un vinello in mano. O almeno che qualcuno in Società gli spieghi questa differenza.
Tornando al mood dell’ambiente Napoli, c’è chi da’ per finito il discorso scudetto e chi invece crede che i giochi siano ancora aperti.
Il punto è che il Napoli si trova a dover fronteggiare un gigante. Su tutti i fronti. Fatturato, bacino d’utenza, stadio di proprietà, comunicazione, forza e aggressività sul mercato economico e dei calciatori. Tutte cose che restituiscono, in campo, un organico superiore al Napoli. La Juventus di Agnelli si migliora ogni anno. Anche quest’anno. E per migliorarsi, cambia pelle sempre, ogni stagione un po’. E questo cambiamento, puntualmente lo paga nella prima parte di campionato. Quando si assesta, nella seconda parte di stagione, quella decisiva, diventa la corazzata che conosciamo, ma più forte dell’anno precedente. Il Napoli, invece, quando non cambia, come quest’anno, può aspirare a conservare il livello acquisito nella stagione precedente. Lo dimostra la Storia di questi ultimi anni. L’organico del Napoli è migliorato dopo aver cambiato, dopo aver ceduto prima Cavani e poi Higuain. Quest’anno la scelta è stata conservativa e suggellata nei fatti da rinnovi importanti, mediaticamente dall’arcinoto “patto scudetto”.
E’ questo il contesto in cui compete il Napoli. Ed è in questo contesto che il club azzurro riesce a ricomporre le varie posizioni all’interno del suo ambiente e a farle convergere su un aspetto fondamentale. Tutti siamo rimasti delusi, o quanto meno con l’amaro in bocca, dopo il pari a San Siro con l’Inter. Questa amarezza ha una portata gigantesca. Il Napoli va a San Siro e va in scena una partita tra una “piccola” e una “grande”. Nulla da dire a Spalletti, ha fatto fare all’Inter quello che doveva fare, ovvero cercare di chiudere tutti i varchi e ripartire. Quello che storicamente in Italia fanno tutte le squadre al cospetto di una compagine di gran lunga superiore.
A Napoli siamo delusi per aver messo all’angolo la quarta-quinta forza del campionato in uno stadio dove, storicamente, il Napoli ha preso mazzate anche ai tempi di Maradona. Se pensiamo all’unico altro pari esterno degli azzurri in questa stagione, non c’è una grossa differenza, in termini di svolgimento del match. E stiamo parlando del Chievo.
E’ qui il salto di qualità del Napoli. Arrivare ad un punto tale che si va a San Siro o in uno stadio di provincia con la stessa mentalità e pensare di aver perso punti, laddove non si fa’ bottino pieno. E’ una rivoluzione copernicana. Prima era “ottimo, siamo usciti indenni da San Siro”, oggi è “abbiamo perso punti”.
L’ultimo step è questo scatto mentale allo Stadium di Torino. Se e quando il Napoli pareggerà con la Juventus in trasferta con il rammarico di aver perso punti e non la positività di esserne usciti indenni, il Napoli potrà aver completamento questo piccolo, ma lungo percorso .
Dopo di che, altro non c’è. Se non lo Scudetto. Ma quello è improgrammabile per chi ha da fronteggiare avversari nettamente favoriti. Dipende da tanti piccoli grandi fattori che si devono incastrare. Ed ogni anno è così. Se quest’anno il Napoli dovesse vincere il tricolore, non sarà comunque il favorito l’anno prossimo.
La società di De Laurentiis può fare solo piccoli passi. L’abitudine alla lotta al vertice o il focalizzarsi sul competere seriamente su più fronti. Tutti “dettagli” su cui il Napoli è ancora nettamente al di sotto della Juventus. E sono passi che si fanno molto molto lentamente. Perchè, in quest’ottica, l’abitudine diventa tale attraverso gli anni e la costanza. Non a caso, possiamo dire che il Napoli ha acquisito l’abitudine a competere per l’alta classifica da circa sette anni.
Non a caso, qualcuno diceva che occorre molto meno tempo per passare dal decimo al secondo posto, che non dal secondo al primo. E proprio la Juventus in Europa, può esserne una valida dimostrazione.