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Partenopeismi

Paura e desiderio: come si insegna la sofferenza?

Ogni volta è un’amara epifania: al momento del passo decisivo, il Napoli crolla sotto il peso delle sue ambizioni. Al netto di sfortuna, valore degli avversari e sviste arbitrali, elementi sostanziali ma che non possono giustificare approcci sufficienti e molli da parte degli azzurri quando la palla inizia a scottare. È anche per questo che la pur prepotente vittoria di Cagliari non può dissipare tutti i dubbi riguardo la tenuta nervosa dell’undici ancelottiano: gli isolani si sono dimostrati sì agguerriti, ma tutto sommato abbordabili sul piano tecnico e, più di tutto, non certo concorrenti per obiettivi di uguale portata.

Questa fattualità assume contorni anche più inquietanti se si azzarda un breve excursus storico della società di De Laurentiis: già ai tempi della serie C la compagine partenopea mancò l’appuntamento con la serie cadetta per uno sciagurato play-off disputato contro l’Avellino di Cuccureddu, formazione valida ma di certo inferiore a livello tecnico rispetto ai partenopei. Eppure, grazie ad una doppia finale giocata con personalità e tenacia, i lupi riuscirono a spuntarla su un Napoli con la testa troppo “leggera”.

Da quel momento, ma forse anche prima, il Napoli si è quasi sempre rifiutato di giocare “da Avellino”, ossia riuscendo a contenere le sfuriate di un avversario pur motivatissimo. Parafrasando un Troisi d’annata, non si riesce a “soffrire bene, di quella bella sofferenza…” (vedi video in fondo all’articolo).

Tralasciando il periodo mazzarriano, dove i partenopei avevano il ruolo di outsider di lusso, dall’arrivo di Benitez gli azzurri hanno sempre sposato la filosofia del dominio territoriale, della proposizione del gioco, seppur con strategie diversificate da allenatore a allenatore. Parallelamente, ha sviluppato, in modo quasi inconscio, una certa incapacità a gestire le fasi di non possesso e di gestione dei momenti critici. Problema fin troppo evidente nel periodo di Benitez, abilmente nascosto (ma comunque presente e sensibile) durante l’era Sarri, apparentemente ovviato dalla dinamicità del modulo di Ancelotti, finché Liverpool non ha dimostrato che di strada da fare ce n’è ancora: ad Anfield l’undici di Carlo ha palesato, per l’ennesima volta, incapacità nel soffrire, nel trarre esperienza dal passato e nel gestire mentalmente situazioni cruciali. In un’occasione dove non era nemmeno necessario vincere, ma semplicemente perdere bene, Insigne e soci hanno sentito cadere la terra sotto i piedi, rendendo ancora una volta accreditabile la più banale teoria di Murphy, secondo cui, se c’è la possibilità che un determinato evento finisca male, lo farà senz’altro. Soprattutto se non si ha la forza di trascinarlo verso altre spiagge.

Il solo Ancelotti non può bastare a infondere questa peculiarità, in un gruppo tendenzialmente poco incline al sacrificio corale. Non in breve tempo, quantomeno. Oggi al Napoli sembra mancare un leader tecnico, un imprescindibile del rettangolo verde che sappia come si vinca e lo trasmetta allo spogliatoio. Un tempo questa figura poteva essere parzialmente rappresentata da Reina, anche se lo spagnolo, oltre l’indubbio carisma, di vittorie in prima persona ne ha vissute ben poche e non era privo di carenze tecniche. Per il resto, ai vari Hamsik, Mertens, Allan, Callejon e compagni possiamo “solo” tributare gran dedizione e professionalità, ma non un background tale da scacciare i timori degli appuntamenti importanti.

Volenti o nolenti, si ritorna sempre al mercato: anche questa è stata una stagione conservativa, con l’acquisto del solo Ruiz che, per quanto non indifferente, non basta ad ampliare le prospettive di questo Napoli che conta tra i suoi effettivi numerosi trentenni senza papabili eredi al seguito.

A questo punto la società è prossima a un bivio inevitabile: investire a fondo perduto su un rincalzo d’esperienza, nome e carisma, tentando di ridurre al minimo gli scossoni emotivi che questa formazione patisce ancora, oppure mirare ad un rinnovamento del parco giocatori, tenendo bene a fuoco già da adesso come e su chi lavorare.

Al momento, non appare chiaro a quale strategia ci si stia appellando…

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Aspirante scrittore, ossessionato dal cinema, dal Napoli e dalla lettura. Precario emigrante in virtù dell’affitto da pagare.
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