In questi giorni mi è capitato di dedicarmi ai media per più tempo, ho guardato qualche programma di calcio locale in tv, quelli in cui le opinioni tengono giusto il tempo di essere stravolti dagli eventi; ho sentito parlare di me come un calciatore di secondo piano, non indispensabile, quasi di scarto. La cosa che mi ha fatto più male è aver evidenziato – non so con che dose di malizia – che il Napoli avesse addirittura beneficiato della mia assenza.
Chi segue il calcio, a volte, mi fa paura; è ingeneroso, ingrato, ignorante. Si, ignorante, perché si lega all’attuale in maniera esclusiva, trascurando e dimenticando tutto il pregresso, seppur sia stato di prestigio.
Ho avuto sulla pelle una stranissima sensazione: ero nervoso e il mister mi ha messo in panchina. Ma, a quello che sarebbe dovuto rientrare tra le dinamiche normali in una grande squadra, è seguito qualcosa di diverso. La mia mancanza che quasi non si avverte, più di qualcuno che mette in discussione la mia leadership (sia come calciatore che come neo-capitano), Younes alla finestra, messo sul trampolino di lancio dal mister e da suo figlio come oggetto del desiderio ormai pronto a prendersi la scena.
Per chiudere il cerchio ed ipotizzare un addio imminente al Napoli, c’ho pensato io stesso confermando che ad aprile 2019 scadrà il vincolo contrattuale con i miei procuratori storici. Di Mino Raiola non voglio parlarne ma, a prescindere da lui, voglio che sappiate che ogni calciatore, al di là della squadra per cui fa il tifo, pensa a curare al meglio l’aspetto economico della sua professione. Chi di voi non lo fa nel proprio settore?
Lo voglio dire a caratteri cubitali: io amo il Napoli e non voglio che nulla che riguarda la mia professione possa intaccare questo sentimento. Detto ciò, devo ammettere che il momento è delicato. Sono consapevole che il mio club di appartenenza, al di là delle dichiarazioni di facciata, ad un certo punto faccia delle (giuste) considerazioni su noi calciatori. Nelle segrete (ma per noi non tanto) stanze se lo sono già chiesti: ma Insigne è indispensabile a questo Napoli? Qualche perplessità c’è. Ed è legittima.
Il passaggio al 4-4-2 mi ha inizialmente esaltato (anche per la scarsa vena di Milik), poi mi ha relegato a comprimario, costringendomi a calpestare zone di campo centrali. L’alternativa sarebbe stata quella di fare l’esterno di centrocampo a sinistra ma, a prescindere dalle sue pessime condizioni di forma, l’avete visto il mio compagno di squadra Verdi?
Morale della favola: non ho trovato più la quadra. Probabilmente questo modulo non è il vestito che mi calza meglio ma, il problema risiede altrove, alloggia in quella fiducia incondizionata che ti spinge come un missile in orbita e ti fa rendere al massimo. Ecco, quella, sento stia venendo un pochino a mancare. E quando hai questa sensazione addosso cominci a farti mille domande, ti assaliscono tanti dubbi.
Ho 27 anni, tutti dicono sia l’età della piena maturazione calcistica e lo pensa anche il Napoli che, però, fa anche un altro discorso: se non riceviamo offerte da capogiro per il calciatore allora ce lo teniamo fino alla soglia dei trentadue ma, se dovessimo riceverla, un pensierino alla cessione lo si fa eccome. E lo si fa non perché il Presidente sia un pappone, come dicono molti tifosi, ma per reinvestire. Che piaccia o no, il Napoli è a questi livelli grazie a questa filosofia.
In altre parole, se qualcuno è disposto a mettere sul banco la moneta della giusta grandezza, la mia imprescindibilità si sgretolerebbe immediatamente.
Ma il discorso va arricchito anche con un’altra considerazione che suggerisce una ulteriore domanda: il Napoli sta ristrutturando il suo asse portante; ebbene, ad oggi, tra Meret, Koulibaly, Allan ed io, chi risulta meno indispensabile? Chi è quello più facilmente sostituibile?
Questa domanda me la pongo da un po’ di tempo e la risposta che mi sono dato non mi piace affatto.
1 Comment