Il Napoli gioca un altro campionato. Il che non vuol dire che surclassi le avversarie, tutt’altro: è il modo di interpretare le partite che lo rendono “differente” dalle altre compagini della massima serie.
17 tiri totali (di cui 8 in porta) contro l’unica, letale stoccata rossoblu, danno l’idea di un calcio totale all’olandese, o ad un’esplosività tattica spagnoleggiante, ed è in effetti così: gli azzurri di quest’anno sono come mai propositivi, spregiudicati e incoscienti nella fase offensiva. Questa squadra da l’impressione di voler sempre cercare la porta, anche a costo di vivere qualche eccessiva difficoltà nell’affrontare le ripartenze avversarie. Risponde colpo su colpo a ogni velleità di offesa da parte del nemico, dovesse anche chiamarsi Juventus.
Tutto questo accanimento offensivo crea dispute veramente avvincenti quando l’avversario accetta la sfida e risponde a tono, ma cosa succede se poi chi si trova di fronte decide di non ingaggiare nessun duello alla pari? La risposta è proprio nel match contro il Cagliari di poche ore fa.
L’undici isolano, soprattutto nel secondo tempo, si è arroccato nei pressi della propria area di rigore affidandosi ai due ottimi Klavan e Pisacane, a uno strepitoso Olsen e, non ultimo, alla leggerezza mentale propria di una squadra cosciente che, dopotutto, ottenere punti dal San Paolo non è un obbligo. Discorso antitetico invece per il Napoli, consapevole di dover puntare sempre a vincere.
L’epilogo è tristemente noto: forse nell’unico momento in cui i partenopei hanno stretto tregua alla (inefficace) intraprendenza dei suoi avanti, il Cagliari, forte appunto della sua mente sgombra (e anche tramite il suo subentrato più fresco), punge alla prima occasione utile. Una marcatura elementare, basica, ma che mette a nudo i problemi di questo nuovo Napoli: pare che giochi in un altro campionato. Fuori dall’Italia.
Va bene la costante ricerca dell’area avversaria, va bene entrare su ogni campo e dimostrare di volersela sempre giocare, va benissimo quando ciò porta risultati e non affanna troppo il reparto arretrato. Non va assolutamente bene quando tutto diventa dogma autoreferenziale, o automatismo senza nessuna impronta agonistica. È in questi casi che la furbizia deve vincere sulla qualità.
A voler osare una punta di malizia, a volte Ancelotti dà l’impressione di non aver ancora lasciato la Spagna, o l’Inghilterra, quando era alla guida di giocattoloni miliardari, infarciti di fenomeni che giocavano al servizio di altri fenomeni. Discorso non assolutamente replicabile per il Napoli.
Non chi scrive, ma chi tifa, si augura che sia solo l’incidente di una partita studiata male e interpretata peggio. Un momento di buio che la guida tecnica saprà senz’altro illuminare.
Senza la pretesa di voler insegnare calcio, ma solo di apprezzarlo. Con tutti i compromessi estetici del caso.