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Partenopeismi

Sponsor e potere: un legame sospetto

Il campionato di calcio di serie A edizione 2015/2016 si è appena concluso per dare spazio agli Europei di calcio in Francia. I campioni d’Italia, manco a dirlo, sono i calciatori della Juventus, per la quinta volta consecutiva. Una vittoria frutto dell’organizzazione societaria, della qualità del parco giocatori, ma anche, secondo qualcuno, di errori arbitrali che finiscono sempre e comunque per agevolare i bianconeri.

Ma taluna illazione corrisponde al vero? Proviamo a capirlo.

Abbiamo calcolato i clamorosi ed evidenti errori arbitrali che hanno avvantaggiato o meno una o l’altra squadra, e ne è venuta fuori, ovviamente, una classifica stravolta per alcune squadre, solo leggermente mutata per altre. La Juventus, soltanto grazie ad un +8 sarebbe riuscita a scavalcare il Napoli che, dunque, in mancanza di errori arbitrali, si sarebbe proclamato campione d’Italia. E’ un caso sia la Juventus la squadra più aiutata dagli arbitri? Può darsi.

Squadra Punti senza errori Punti reali
Napoli 85 82
Juventus 83 91
Roma 79 80
Inter 66 67
Fiorentina 64 64
Sassuolo 61 61
Milan 58 57
Lazio 55 54
Chievo 50 50
Genoa 48 46
Torino 46 45
Empoli 46 46
Atalanta 44 45
Sampdoria 41 40
Bologna 41 42
Carpi 40 38
Udinese 39 39
Palermo 37 39
Frosinone 33 31
Verona 28 28

Ma non basta il nostro resoconto matematico per avere una visione globale, chiara e soprattutto completa di tutto quanto viene e dato o tolto alle squadre di serie A. Al nostro calcolo sfuggono tutte le disparità di giudizio rispetto ad un analogo episodio. E sono proprio queste le situazioni di gioco in cui un arbitro, anche in buona fede, può determinare anche in maniera più decisa rispetto all’episodio clamoroso. La differenza la fa il numero di azioni “incriminate”, decisamente superiore (e spesso incalcolabile), rispetto a quelli eclatanti.

Ma il punto non è questo, non deve essere questo, non può essere questo. Gli errori arbitrali, le famose sviste (intese come qualcosa che per errore non si è vista per quello che è realmente stata), fanno parte del gioco. Il gioco del calcio è praticato grazie ad uomini, sia calciatori che arbitri, per cui tutti possono potenzialmente cadere in errore. E va accettato.

Il grande problema non è dunque l’errore in sè, ma il sospetto diffuso che l’errore sia intenzionale, voluto, predeterminato.

Ma intenzionale per volere di chi? Predeterminato da chi? Forse non lo sapremo mai, ma alcune lucide considerazioni, basate su dati di fatto, possiamo farle.

Gli arbitri fanno parte di una organizzazione chiamata A.I.A (Associazione Italiana Arbitri), una componente della F.I.G.C (Federazione Italiana Giuoco Calcio). La F.I.G.C, per autofinanziarsi (gli arbitri italiani di serie A costano circa 5 milioni di euro l’anno, suddivisi in 3,8 milioni per le 38 gare di serie A (circa centomila a giornata), cui vanno aggiunti la Supercoppa Italiana e tutta la Coppa Italia), gode di una serie di sponsorizzazioni tra cui spiccano i nomi della Tim, della Compass, ma anche quelli della Fiat e dell’Iveco, che altro non è che la divisione dei veicoli industriali dell’azienda stessa. Una sponsorizzazione duratura e datata, un sodalizio che va avanti dal 2000, interrotto dal 2006 al 2010 (periodo in cui il partner commerciale diventa Volkswagen), e rinnovato dapprima nel 2011 e successivamente nel 2015 per altri quattro anni. Insomma, l’accordo tra la F.I.G.C. e la Fiat scadrà nel 2019. Un accordo commerciale che frutterà alla Federcalcio circa 3 milioni a stagione.

L’accordo prevede la fornitura di una flotta di vetture Fiat che accompagnerà il team italiano in occasione delle partite ufficiali, delle amichevoli e dei ritiri. Inoltre, il marchio campeggerà sulle divise da allenamento degli Azzurri e sugli spazi pubblicitari a bordo campo. In virtù di questo accordo, anche il viaggio azzurro verso i Mondiali di Russia 2018 sarà “targato” Fiat.

La faccenda diventa ancora più intricata se consideriamo anche il fatto che tra gli sponsor (ne esistono varie categorie di rilevanza), vi sia anche Bassetti, storico marchio tessile italiano, che fa parte del Gruppo Zucchi, il cui azionista di maggioranza (56,26%) è Gigi Buffon, capitano di Juventus e Nazionale.
È certamente legale che due marchi legati alla Juventus possano legarsi a chi preferiscono, ma è eticamente scorretto che ciò avvenga, visto che diventa un facile esercizio mentale abbinare il tutto ai tanti, troppi, favori ricevuti dalla Vecchia Signora. Ad aggravare ulteriormente la visione pessimistica di questa anomalia vi è il fatto che la Juventus dal 2000 al 2016, con le sole eccezioni delle annate 2003/2004 e 2005/2006 abbia sempre vinto il titolo di campione d’Italia negli anni in cui è stato in essere il rapporto commerciale tra Fiat e F.I.G.C. Cosa non accaduta dal 2006 al 2009, anni in cui la suddetta sponsorizzazione non è stata in essere.

Ad onor del vero, ci tocca anche dire che tra gli sponsor “minori” (definiti premium sponsor), vi è anche il marchio Lete, ovviamente unito al Napoli in maniera assolutamente marginale in quanto main sponsor del Calcio Napoli e non azienda proprietaria del club (come la Fiat per la Juventus). Equiparare il Napoli alla Juventus vorrebbe dire inserire tra gli sponsor della Federazione Italiana Giuoco Calcio la Filmauro di Aurelio De Laurentiis.

Per carità, ci troviamo dinanzi a casualità, circostanze fortuite, scherzi del fato. Ma la cultura del sospetto, quella che sta ammazzando il gioco del calcio, in qualche modo va arenata, e ci sembra che in questa direzione non stia andando assolutamente nessuno.

 

 

About author

Guido Gaglione è docente di arte e immagine, operatore di ripresa e giornalista pubblicista dal 2015.
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