L’aspetto metaforico è una premessa imprescindibile. Maurizio Sarri lavora di spada e non di fioretto, tant’è vero che li chiama coglioni. Ne possiede tanti, tinti di colore diverso, variegati, dalle mille sfaccettature, al punto tale da essere fucina di insegnamenti.
Il tecnico toscano i coglioni li ha sempre avuti, perchè ha compreso il senso della vita, da sempre. Anzi, da quando ha mollato la poltrona della banca in cui lavorava per sposare il calcio, la sua linfa vitale.
Quella volta, di coglioni, ce ne vollero tanti, tutti in azione contemporaneamente, tutti a profondere energia univoca, finalizzata alla conquista del misterioso e timoroso incerto al cospetto del rassicurante certo.
La battaglia fu vinta, e da allora Maurizio Sarri gode della sua libertà spirituale, comodamente cullato sui suoi coglioni.
Da quel momento Maurizio Sarri e la pace interiore sono una cosa sola, da quel momento il tecnico toscano è a bordo di una vettura che lo ha catapultato da una città all’altra, da una serie calcistica all’altra, ma che gli ha posto accanto sempre il medesimo compagno di viaggio: il suo umile credo.
La sua non è mai stata una scalata verso il potere, almeno non a quello economico. La sua è stata una scalata verso la pace interiore, quella che ti fa essere fiero di te, quello che ti fa essere in pace con te stesso, quella che ti fa essere felice perchè ti concretizza una idea, te la rende realtà, te la tramuta in materia.
In tutto questo discorso faticano a farsi spazio le categorie, le serie, i circuiti economici, i contratti, gli ingaggi, la popolarità.
La felicità per Sarri è altro, qualcosa che prescinde da tutto ciò, che tiene le proprie corde concettuali a debita distanza dal materialismo, allineato perfettamente alle logiche edoniste.
Maurizio Sarri e’ un uomo felice. Lo era quando allenava il Sansovino e lo è alla stessa maniera adesso che è l’allenatore del Napoli. Lo dice il suo sguardo, lo dicono le sue parole, lo dicono i suoi occhi, lo dicono i suoi coglioni. Quelli che gli hanno fatto sempre credere nel suo lavoro, quelli che gli hanno consentito di non mollare mai, quelli che gli hanno dato la possibilità di non perdere mai il contatto con la realtà, quelli che lo hanno fatto rimanere sempre uguale, il Maurizio Sarri attaccato a se stesso e ai suoi princìpi.
A Maurizio Sarri è arrivata lo scorso anno l’occasione della vita, ma se non gli fosse giunta sarebbe lo stesso che è adesso, un uomo con i coglioni. Gli stessi che a volte gli pesano perchè costretti a trascinarsi dietro tutti quei colleghi che, diversamente da lui, scalano le montagne del successo, della fama, della gloria, quelli che stressano i propri Presidenti facendo richieste esplicite sui calciatori da acquistare.
E’ lo stesso Sarri che senza veli lo dichiara nel post gara di Torino-Napoli ai microfoni di Mediaset Premium: “Non ho mai interpretato il mio ruolo in questo modo, non ho mai chiesto giocatori, se me li danno li prendo, se non me li danno cerco di migliorare quelli che ho. E mi stanno anche un pò sui coglioni gli allenatori che chiedono continuamente i giocatori. Noi dobbiamo fare un altro tipo di lavoro. A chiedere son buoni tutti”.
Non propriamente una frase elegante, ma ricca di contenuto. L’arrivismo non so cosa sia, per me esiste solo la cultura del lavoro e del rispetto dei ruoli. Questo il sunto del Sarri-pensiero.
Una frase ricca di speranza, una frase da divulgare ai giovani, quella del recupero di ideali completamente persi.
Un contenuto emozionante, bellissimo, encomiabile, vincente. Forse, non a caso, proprio come il Napoli che sta accompagnando per mano verso una storica qualificazione in Champions League.