Il ventisettesimo ritiro pre-campionato consecutivo non è roba di poco conto.
Paolo Del Genio, volto storico del giornalismo sportivo napoletano e giornalista di radio Kiss Kiss Napoli, ci accompagna lungo un percorso di curiosità in cui il Calcio Napoli viene soltanto sfiorato. Le tappe riguarderanno il momento storico del giornalismo e i cambiamenti dello stesso nel corso del tempo, il rapporto con la gente di Napoli, ma anche scontri, divergenze ed affinità con l’ambiente di lavoro. Un Paolo del Genio a 360° che ci svela una faccia spesso nascosta del mondo che gira attorno alla professione di giornalista.
Paolo, lei è d’accordo con l’affermazione secondo la quale il giornalista dovrebbe limitarsi ad informare? Se si, cosa pensa degli opinionisti?
“Le cose nel corso del tempo sono cambiate. Adesso per forza bisogna dare un’opinione anche se non è detto che tutti la possano dare. Un tempo vi era una serie di regole da rispettare, cominciando ad essere innanzitutto cronista per avere una base. Solo successivamente si poteva azzardare un’opinione. Concettualmente diciamo sarebbe giusto rispettarla, ma è cancellata di fatto dai tempi. Oggi siamo nell’era di Zuckerberg, di Facebook e non possiamo più pensare che la gente si possa limitare ad un percorso i crescita giornalistica. I giornalisti li fanno tutti con la loro pagina Facebook, non vedo perché non possa farlo chi davvero svolge la professione di giornalista”.
Il tifoso è spesso disorientato da notizie contrastanti. Perché capita ciò? E come fare ad essere affidabile agli occhi dei tifosi?
“Al di là dei risultati, il calcio è materia opinabile, quindi è giusto ognuno dica la sua. Secondo me bisogna scegliere un’angolazione, dipende in cosa ci si vuole rispecchiare. Se si vuol caratterizzare la passione da un punto di vista tecnico-tattico allora ti scegli chi ama fare questo tipo di giornalismo, scegli di seguire il polemista se ti piace la polemica, e così via”.
Negli ultimi anni è esploso il fenomeno internet. I siti hanno prodotto un miglioramento dell’offerta giornalistica oppure ne hanno abbassato il livello qualitativo e la credibilità?
“I siti possono migliorare il livello qualitativo, ma in questo momento sono troppo presi dalla voglia dei numeri e delle conseguenti visualizzazioni, perché chiaramente portano a ricavi economici. Non è una cosa piacevole da un lato, ma è giusto dall’altro, perché i siti, a differenza dei giornali che vivono grazie ai finanziamenti politici, e di Tv e radio che si reggono grazie alle pubblicità, sono costretti a ricorrere ad introiti legati ai numeri.
Devo però dire che piano piano si sta migliorando e qualche sito sta cercando di migliorare la qualità, stanno venendo fuori delle idee interessanti, la crescita indubbiamente c’è.
Questo per quanto riguarda il giornale. I giornalisti che vi lavorano, invece, che sono tutti spesso giovani o giovanissimi, li apprezzo molto, si dedicano ad un giornalismo di ricerca, di preparazione, di conoscenza di numeri e statistiche, insomma di cose che il vecchio giornalismo aveva trascurato. Grandi giornalisti del passato, grandi firme, non sanno leggere le statistiche, non sanno leggere i numeri tattici, cose che invece le nuove leve fanno benissimo”.
Lei, in quanto figura totale del giornalismo sportivo napoletano, ha utilizzato nel corso degli anni diversi canali di comunicazione, passando dalla carta stampata alla Tv, per finire al mondo di internet. Quale le ha dato maggiore soddisfazione, e quale crede sia il futuro di questi tre canali comunicativi?
“Ho iniziato la mia carriera scrivendo su SportSud, un’ esperienza emozionante per un ragazzo che questa testata l’aveva soltanto consultata da bambino. E’ stata una esperienza breve ma di grande soddisfazione. La Tv, invece, mi caratterizza ancora, sono stato uno dei primi a fare un certo tipo di televisione con l’esperienza molto forte di Telecapri Sport, un’avventura totale che mi ha consentito anche di approcciare il montaggio televisivo. Quello è il modo di trattare calcio in Tv che mi piace, ma è anche un calcio che oggi non può essere più proposto per i costi che sono diventati veramente proibitivi. Io riuscivo a realizzare interviste ai calciatori per amicizia, oggi tutto ciò è improponibile.
Per una televisione regionale purtroppo quel tipo di programma è finito e ci si è proiettati verso il Talk Show che io non amo, lo si sa, lo dico senza problemi. Non mi piace perché sono programmi caratterizzati da quattro/cinque blocchi per argomento, a volte addirittura sono “ingessati”, perché se un argomento viene fuori prima del previsto non lo puoi trattare perché previsto in scaletta successivamente. In ogni caso i Talk li organizzerei con più tecnici e meno giornalisti, che finiscono spesso per parlarsi addosso.
Adesso il mio prodotto televisivo preferito è quello del filo diretto con i tifosi, in onda anche sulle frequenze di Radio a Kiss Kiss Napoli. Questo tipo di programma mi piace molto, non solo perché è salito moltissimo il livello qualitativo di chi interviene, ma anche perché ci si affida alla imprevedibilità, che presuppone una profonda preparazione del conduttore”.
Il grande incremento di testate giornalistiche on-line genera una grande offerta ma anche disorientamento tra i lettori. Ci sarebbe bisogno di una regolamentazione più rigida secondo lei?
“Impossibile. Il mercato è selvaggio, i social network regnano sovrani, tutti parlano di tutto, non è possibile evitarlo. Però bisogna saper scegliere, questo si”.
Cosa le ha dato o eventualmente cosa le ha tolto l’affetto di migliaia di persone che la riconoscono da anni come simbolo del giornalismo sportivo napoletano?
“Mi hanno solo dato. La mia popolarità è piccola, non riuscirei a comprendere la popolarità di una star. Immagino debba essere difficile gestire ad esempio la popolarità di un calciatore che non può uscire di casa o farsi una passeggiata. Io la passeggiata me la faccio e se capita mi fermi un tifoso per una fotografia non può che farmi piacere. Quelli che si infastidiscono sono degli stupidi”.
Quale qualità ruberebbe ad un suo collega?
“Non mi sono mai ispirato a nessuno, anche se da ragazzo ovviamente guardavo le telecronache di Gianni Castelluccio a canale 21 o le prime trasmissioni di Michele Plastino, ma per quanto stimi entrambi, non vedo punti di contatto con loro. A quell’epoca c’era la possibilità di inventarsi delle cose, io l’ho fatto, sono piaciute e le ho portate avanti.
Non esiste nessun giornalista che mi ha ispirato, né colui che mi ha accompagnato lungo il percorso, perché ho viaggiato sempre da solo, lo dice la mia storia, non mi sono mai voluto legare a nessun carro, per mia scelta, per inclinazione del mio carattere. E devo anche aggiungere che spesso chi ha fatto la storia del giornalismo sportivo ed è passato da “grande firma” a giornalista televisivo ha faticato molto. Forse per loro, paradossalmente, sarebbe stato meglio l’anonimato della grande firma, nel senso che il grande pubblico ti conosce per il nome ignorando le tue qualità di interazione televisiva. Mettere alla luce questi aspetti è stato per qualcuno negativo. Quando mi sono trovato al cospetto di questi maestri del giornalismo non mi sono quasi mai trovato d’accordo, ma non per spirito di contraddizione, che non mi è mai appartenuto, ma perché ho sempre visto superato il loro modo di fare giornalismo”.
Cosa non le piace dell’ambiente in cui lavora?
“Devo dire che mi piace. Forse perché ci lavoro e basta. Questo è il segreto. Non lo vivo molto, non frequento giornalisti, sono in buoni rapporti con tutti o quasi tutti. In trent’anni ho avuto al massimo 2/3 scontri, una percentuale bassissima. Prova del fatto non ero io ad avere ad avere difetti”.
Ci racconta l’aneddoto più curioso o divertente che ha vissuto durante i molteplici ritiri pre-campionato che ha vissuto?
“Beh, difficile rispondere. Più che un aneddoto evidenzierei la clamorosa diversità tra i primi e quello di adesso. Questo è il numero 27 da quando ho cominciato è cambiato praticamente tutto. Adesso stimo facendo un’intervista in una gelateria qui a Dimaro, nei primi anni di ritiro facevo scendere la sera il mio cameraman con la telecamera perché era possibile intervistare i calciatori mentre mangiavano il gelato. E non sto parlando di sconosciuti, mi riferisco a calciatori del calibro di Francini, Careca, insomma grandi campioni”.
La partita del Napoli ed un calciatore (a parte Diego) che non dimenticherà mai?
“Devo dire per forza Bologna-Napoli 2-4, perché in merito a quella gara potrei far riferimento a quando Diego Maradona da bambino rese pubblico il suo sogno di vincere un mondiale. Se da bambino m’avessero posto la stessa domanda avrei risposto: fare la telecronaca della gara che sancisce di fatto la vittoria dello scudetto del Napoli. In quel giorno si è avverato il mio sogno. Per quanto riguarda il calciatore, beh, tolto Diego, con gli altri ho avuto grandi rapporti, ma fatico a fare un nome specifico.
Lei ha raccontato le storia scritte dal Calcio Napoli in giro per l’Europa, e lo ha sempre fatto seguito da un cameraman. Quanto ha inciso l’affinità umana con l’uomo cameraman ai fini di una proficua resa professionale?
Incide moltissimo. Ho avuto sempre grandissimi rapporti con tutti loro. Ho vissuto il mio lavoro con grande serenità, e sono sicuro di averla anche trasmessa. A volte si vivono situazioni difficili, come ad esempio grandi folle di colleghi e cameraman che circondano un intervistato, io mantengo sempre la calma, non ho mai apprezzato chi lavora vittima dell’agitazione, non credo riesca ad ottenere il prodotto migliore”.
Chi è Paolo del Genio a telecamere spente?
“Uguale a quello che si vede in Tv. Credo sia l’unica possibilità per fare bene questo mestiere”.