fbpx
Partenopeismi

Revisionismo e tecnocrazia

Sui social si tifa male, molto. Almeno questo è ciò che mi salta all’occhio quando accedo ad uno dei tanti portali adibiti alla condivisione, subito dopo il deludente pareggio europeo contro la Stella Rossa.

NOSTALGIA, NOSTALGIA SARRIANA. Tralasciando gli scontati post umorali, tipici figli del risultato inappagante, il dato che più mi urta è rappresentato da una tendenza ancora troppo diffusa: la nostalgia sarriana. Un sentimento totalizzante, incontrollato ed estraniante, che quasi sempre stravolge la maniera di analizzare il pur valido lavoro del nuovo tecnico azzurro.

Curioso che Sarri, riconosciuto goliardicamente come foriero di sopiti ideali di sinistra, si ritrovi protagonista di un culto spropositato della personalità che richiama figure ben distanti dal progressismo. Eppure, mi tocca: oggi leggo che è Ancelotti che deve confrontarsi col mister toscano, e non il contrario; oggi vedo tutti aspri censori delle sperimentazioni tattiche di Carletto, ma mesi addietro conciliavano il sacrificio delle coppe in nome di un sogno che, unica certezza, si è smarrito anche stavolta.

E allora perché, in questo improbabile duello tra tecnici, pare che sia il plurititolato Ancelotti quello che deve dimostrare?

FORMA E SOSTANZA. Semplice, perché a Napoli si antepone spesso la forma alla sostanza. Così come Hamsik e Mertens prima di lui (giusto per citare due partenopei “d’adozione”), anche Sarri ha saputo “vendersi” ai napoletani, qualificandosi come “uno di noi”, tramite gli elogi alla piazza, alla città, anche a distanza di mesi dalla sua partenza verso Londra.

Personalmente non metto in dubbio la sincerità del mister che, va detto, si è reso autore di un triennio di calcio stellare, ma ritengo che la sua storia col Napoli sia finita il 14 luglio 2018. Fino a quella data Sarri ci ha regalato vittorie prestigiose, record di punti, tanto spettacolo, ma anche una gestione superficiale delle competizioni di coppa, una visione molto limitata della rosa e una certa carenza di capacità motivazionale verso il suo gruppo; perché il gioco sfavillante non può, non deve nascondere le false partenze contro Chievo, Sassuolo, Udinese, Milan, Inter e l’ormai fatal Fiorentina. Se è innegabile che parecchie di queste gare sono state “aggiustate” a partita in corso, non ho comunque paura di dire che ciò è avvenuto tramite pedissequa ripetizione degli stessi dettami tattici, mai attraverso un vero metodo. Metodo che il tecnico emiliano sta pazientemente cercando di impartire alla sua nuova rosa. Senza proselitismo e sviolinate, solo con moderata compiacenza verso quella che, poi, avrà il diritto di essere giudicata come la sua creatura. Al momento, l’unica peculiarità che sottolineo al coach di Reggiolo è la sua capacità di coinvolgere la rosa nella sua totalità e l’effetto galvanizzante che ha procurato a calciatori altrimenti in ombra, pur conscio degli errori di cui tutte le squadre in rodaggio sono passibili. Questo, però, i bar dell’etere non lo notano.

LA FINE DI UN’ERA. Sia chiaro, sarei un masochista a desiderare l’estinzione del concetto di sarrismo, risulterei solo ipocrita e ingrato. Vorrei solo che il Napoli sarriano finisse di risultare un rimpianto e si vestisse da ciò che ormai è: il ricordo meraviglioso di una squadra incompiuta; perché la storia espone così il suo assioma: se non si vince, non si è perfetti. Si è spettacolari, leziosi, leggendari, commoventi, a volte anche immortali, ma tutt’altro che perfetti. Non è scontato che lo si possa diventare battendo sempre lo stesso percorso o affidandosi a nuove intuizioni, ma spesso è proprio l’intervallo tra le certezze a fornire gli stimoli più ardenti. Con buona pace degli hashtag.

About author

Aspirante scrittore, ossessionato dal cinema, dal Napoli e dalla lettura. Precario emigrante in virtù dell’affitto da pagare.
Related posts
Campo

Scherzo da comandante

CoachPlayers

Il profeta che non c'è

Players

Amorevolmente glaciale

CampoClubPlayers

Visione monoculare