Abbiamo tergiversato sulla questione relativa al furto dell’auto che ha subito Kwaratskhelia.
Abbiamo preso tempo.
Non ci ha stimolato la voglia di commentare, di prendere posizione, di esternare il nostro pensiero.
E gli sviluppi della faccenda, con il ritrovamento dell’auto stessa, non hanno alleviato la nostra tendenza.
Fin dal principio, ci ha accompagnato una sensazione di tristezza, di angoscia, di delusione.
Ma non per il furto in sé, gesto chiaramente deprecabile e condannabile ma che, purtroppo, può accadere in qualsiasi città del mondo.
Abbiamo avuto bisogno di tempo per capire.
Ci fa male l’idea che un giovane georgiano che, a differenza di altri suoi colleghi che non hanno nemmeno voluto mettere piede a Napoli, adesso sia deluso e abbia dato sfogo, come molti altri, ai pregiudizi su Napoli?
Può darsi. Potrebbe essere accaduto. Ma ci auguriamo che non sia accaduto.
L’intelligenza che contraddistingue il ragazzo lo porterà a comprendere che non si tratta di fenomeno esclusivamente partenopeo.
E allora cosa ci ha turbato?
Temiamo che il turbamento provato dal ragazzo possa condizionarne la resa sul campo?
Anche questo potrebbe accadere. Ma, anche in questo caso, speriamo che non accada.
Non si tratta di episodi piacevoli. Sono accadimenti che scuotono le anime, agitano, sconfortano, mettono in allarme.
E la resa professionale di chiunque dipende, anche, da una serenità interiore che non può mancare.
Ma c’è dell’altro.
Questi episodi incresciosi fermano, seppur per pochi attimi, il nostro mondo.
Ci fanno riflettere. E la riflessione sconforta.
Che vita è una vita vissuta sempre in allarme?
Che significato assume una vita in cui si ha paura di lasciare l’auto per strada per il timore di non trovarla più?
La storia dell’automobile di Kvara è la storia di tutti.
E’ la storia di chiunque sia assuefatto ad una vita fatta di piccole violenze quotidiane delle quali, spesso, nemmeno ci si lamenta più.