Sarà che siamo ancora in piena atmosfera d’esami, fatto sta che Argentina-Nigeria mi è sembrata la classica partita pluri-disciplinare, multi-tematica. I miei, dovevano sulla carta essere occhi disinteressati, distaccati ed oggettivi, hanno finito per guardare la gara con un’interesse massimale.
Mi sono ritrovato addosso una lista infinita di interessanti spunti: una qualificazione, quella dell’Argentina, in bilico fino alla fine e decisa da chi non t’aspetti. Ma anche l’affascinante storia di Messi, che si riappropria della stima che merita dopo esser stato investito dai pirati dei giudizi affrettati, finanche al cospetto della sua classe.
Voglio citare anche quel Mascherano, desiderato all’ombra del Vesuvio come lo scioglimento del sangue di San Gennaro mai avvenuto, figura – quella dell’argentino – specchio riflettente del Napoli rafaelita che aveva tanta voglia di tuffarsi nel calcio che conta.
E a proposito di allenatori, come evitare un passaggio su Sanpaoli? Altro che tuta di Sarri, si mostra in tenuta balneare nelle prime uscite per poi contenersi nell’ultima. Una tenuta più composta che lo ha però esautorato. E’ stata evidente l’epurazione subìta da parte della squadra. Mai vista una delegittimazione di questa portata.
Ma Argentita-Nigeria è stata anche la partita dei fantasmi bianconeri: uno invisibile perché comodamente seduto in panchina, Dybala. L’altro, Higuain, è una presenza incorporea che vaga per il campo senza meta.
E poi c’è lui, Diego Armando Maradona. Non è sul terreno verde ma è comunque uno show. Le telecamere indugiano sovente su di lui, ne vogliono catturare ogni istante, consapevoli del fatto che ognuno sarà diverso dal successivo.
Diego non mi ha fatto una buona impressione. Mi è sembrato poco istituzionalizzato e vittima di quella stravaganza incontrollata non propriamente tipica dei suoi momenti migliori.
La sua è una gara nella gara: emozionante, sorprendente, ricca di colpi di scena. Esulta al gol di Messi e si abbandona ad una esultanza barocca, poi evidentemente si annoia, si stende come se fosse sul divano di casa e schiaccia un breve pisolino. La restante parte di gara è fatta da sussulti, fino a quello finale. Rojo la mette dentro ad una manciata di muniti dalla fine e regala la qualificazione all’Argentina, Diego esagera e mostra un doppio dito medio a chi, presumibilmente, l’aveva punto nell’orgoglio nazionale.
Una scena poco edificante, da stigmatizzare, ma forse anche da capire. In ogni caso, non certamente una notizia da spiattellare in prima pagina.
Detto, fatto. Le dita di Maradona hanno oscurato la prodezza di Messi. Evidentemente i piedi di Diego non sono gli unici a fare la differenza.
Sono tanti gli addetti ai lavori rimasti disgustati dal gesto di Diego, da qualcuno addirittura paragonato, per indecenza, alle sue gesta sul campo.
La domanda, pure stupida, è: quando Diego è stato indecente in campo?
La risposta semplice come un cruciverba facilitato: mai.
Si resta davvero basiti nel vedere operatori dell’informazione che sfuggono al loro compito e per chissà quale altra motivazione occulta non sminuiscono l’accaduto. La sciarpa al collo per chi racconta lo sport non è una medaglia al valore, ma un enorme limite culturale.