Quel cipiglio latteo incute più timore di quanto possa sembrare. Già solo sdoganando la parola “scudetto” nelle conferenze stampa dell’ultima estate, Carlo Ancelotti ha assestato il primo colpo alla falange della scaramanzia che da sempre convoglia nel capoluogo campano. “Cercare di essere pronti se la Juventus fa un passo falso”, è questo il diktat.
Ma può un allenatore, da solo, condurre alla vittoria una squadra con la sola forza del carisma? La risposta è ovviamente negativa: soprattutto nel campionato italiano, i trionfi sbocciano da una sinergia di fattori che il solo tecnico, per quanto influente ed esperto, non può garantire; eppure, il mister di Reggiolo pare avere un’autorità che travalica i confini napoletani, e forse anche un volpone come Allegri inizia a percepirlo.
Per adesso, la sensazione è che la Juventus sia una compagine spavalda, sicura della sua forza e attrezzata per battere un percorso quasi inarrestabile; eppure, poche volte, se non a tratti, ha dato l’impressione di esprimersi al massimo del suo potenziale, più che altro si è accontentata di speculare sui limiti strutturali delle proprie avversarie, ed al primo scontro minimamente sentito (United in primis) non è stata in grado di celare, pur comandando il gioco, una certa “umanità” di fondo che l’ha resa vittima di cali di tensione determinanti.
Qualche tenue, ma sensibile segnale di irrequietezza lo si è notato in occasione di Juventus-Genoa, dove un Allegri meno guascone del solito predicava attenzione verso la compagine di Juric, temendo di fallire l’occasione di allungare sugli azzurri; discorso che ha poi ripetuto dopo l’1-1 finale.
Niente corsa su se stessi, niente concentrarsi sul proprio percorso, ma un riferimento diretto al Napoli. Quel Napoli che sta incrementando dosi personalità ad ogni partita che passa, che sta imparando a gestire le gare in modo dinamico e intelligente, adattandosi al momento e alle situazioni che cambiano in base agli episodi del campo, ma soprattutto che non ha più intenzione di adagiarsi su alibi a volte fin troppo facili da trovare. Un Napoli che vuole esserci e prendersi le giuste responsabilità verso il proprio futuro. Un senso di responsabilità che in qualche modo un po’ irrita Allegri, che pure nel vittorioso post partita col Milan ha sfoggiato un ulteriore saggio della sua permalosità, asserendo adirato ai giornalisti che gli episodi di una partita (nella fattispecie: il tocco di mano di Benatia e relativa sanzione) devono essere considerati solo dettagli ed essere relativizzati nel loro peso specifico. Non proprio una reazione composta per suffragare un successo al Meazza.
Per la prima volta dopo anni, Allegri si trova a dividere la stagione con un tecnico non solo scafato e vincente, ma che ha a disposizione una rosa molto più completa e variabile rispetto ai roster partenopei degli scorsi anni. Certo, si tratta pur sempre di una sfida assolutamente impari, un Davide contro Golia rivisitato in chiave sportiva, eppure Carletto è lì, a una distanza importante ma non deprimente. Lui c’è. Il suo gruppo c’è. Del resto quando ci si trova a dover affrontare degli alieni che hanno intenzione di distruggere tutto ciò che gli si avvicina, esserci non è roba da poco.