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Partenopeismi

Cristiano Ronaldo, quando i sentimenti cancellano il resto

Quel colpo al ginocchio aveva il sapore della resa. Una finale bruttina fino a quel momento, con Francia e Portogallo che dopo quindici minuti di gioco non erano ancora riuscite a scrollarsi di dosso le tensioni tipiche di un appuntamento di questa portata.

Poi Payet, con un’entrata di gioco dura ma non violenta, è franato su Cristiano Ronaldo. I bellissimi e dettagliati replay hanno mostrato a tutti il movimento innaturale del ginocchio del campione portoghese. Il dolore, e soprattutto la prospettiva di dover abbandonare il terreno di gioco, mostra un CR7 in lacrime.

Il marchio di campione, di eroe nazionale, di pluri-medagliato atleta del pallone lo inducono eroicamente e stringere i denti, a provare a rimanere in campo e non abbandonare i suoi compagni ad un destino che sembra già scritto. Cristiano non riesce a correre, e la smorfia di dolore è ormai parte integrante del suo volto. La partita prosegue, ma le telecamere sono tutte per lui. Fino alla resa, quella definitiva.

L’immagine di Cristiano Ronaldo che esce in barella da terreno di gioco sarà la scena più commovente dell’intera manifestazione.

Ma Cristiano ieri sera non doveva timbrare il cartellino. Cristiano non aveva il turno serale di lavoro. Cristiano aveva indossato divisa e scarpette come fossero spada ed armatura. Cristiano era li perché doveva vincere una battaglia, per sé ma soprattutto per la sua gente, per la sua terra.

Un impegno morale che a seguito dell’infortunio lo ha scaraventato nuovamente a bordo campo, accanto ai suoi compagni seduti in panchina, nonostante una vistosa fasciatura che nascondeva una lesione di primo grado al collaterale del ginocchio. Un infortunio grave che in quel momento non aveva diritto né a cure né ad attenzione.

La partita è un crescendo di emozioni, al pari di quelle provate osservando Cristiano accanto al suo allenatore al di là della linea bianca. Il campione portoghese si sbraccia, si dispera dinanzi ad occasioni mancate dai suoi compagni, rabbrividisce dinanzi ai seri rischi corsi, sventati da un superlativo Rui Patricio.

Cristiano è una maschera. I suoi occhi lo tradiscono. E’ chiara a tutti la sua essenza. Quella di un uomo normale, che ha chiuso in un cassetto la popolarità di cui gode, la stratosferica condizione economica di cui dispone, il ruolo di lavoratore del pallone alla ricerca del contratto più vantaggioso, del progetto sportivo più entusiasmante. Cristiano Ronaldo è un uomo nudo, svestito di tutto ciò che negli ultimi quindi anni di vita lo hanno reso il Tutankhamon di Portogallo.

I lusitani contro ogni pronostico resistono agli attacchi francesi per ben 110 minuti. I calci di rigore sembrano un traguardo insperato fino ad un’ora prima, ma anche quello più vicino. Ma sulla scena tutti avevano snobbato la comparsa di Eder, attaccante di scorta che, gioco del destino, gioca proprio in Francia, con il Lille. Una breve serpentina precede un tiro angolatissimo. La palla è in rete. Ronaldo non sente più dolore, saltella di gioia come un bambino, ricoperto dalle lacrime che egli stesso versa.

I dieci minuti che restano fino al fischio finale della gara sono intensi ed interminabili. Ma la scena che vedrà l’arbitro alzare le braccia al cielo e decretare la fine della battaglia, arriverà. E donerà non solo la felicità a Cristiano Ronaldo e alla sua nazionale, ma a tutti coloro che amano il calcio ed i sentimenti.

Un vissuto bellissimo che ridicolizza tutte le talvolta stucchevoli questioni di mercato sollevate in questi giorni in casa-Napoli, e ci ricorda una sola bandiera: quel Diego Armando Maradona che ha difeso Napoli come un tatuaggio indelebile stampato sulla sua pelle. Finchè morte non ci separi.

About author

Guido Gaglione è docente di arte e immagine, operatore di ripresa e giornalista pubblicista dal 2015.
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