Uno-Sette, Diciasette, che a Napoli ora è sinonimo di Marek Hamsik. Eppure c’è stato un tempo in cui nemmeno si poteva declamare questo numero, che nella cultura e nella tradizione del popolo napoletano incarna la “disgrazia. Per la Smorfia napoletana il numero 17 è da sempre temuto perché associato ad eventi funesti. Forse la spiegazione di ciò risiede nel fatto che, in antichità, sulle fosse dei morti si soleva apporre la scritta “VIXI” (dal latino “vivere”, perfetto indicativo che tradotto significa “vissi”) una forma anagrammata del numero romano XVII, appunto 17 .
Da queste parti, però, se ora dici “17” non puoi non pensare a Marek Hamsik, lo slovacco capitano della squadra azzurra, che si è tatuato ormai sulla pelle la maglia della squadra della città. Il calciatore slovacco ha sempre vestito il 17 da quando gioca al calcio, fin dai tempi del Brescia, così quando arrivò a Napoli la scelta del numero fu accolta con una smorfia di disappunto dal popolo più scaramantico del mondo.
Hamsik, a Napoli, si è preso sin da subito la ribalta conquistando il popolo del tifo e non solo: giocatore di talento, una mezzala atipica, con caratteristiche uniche nel panorama calcistico europeo, tanto da non correre nemmeno il rischio di rimanere imbrigliato in accostamenti scomodi con i campioni del passato azzurro.
Marek è rimasto a Napoli per dieci anni, forse altri ancora ne farà portando quella fascia al braccio. Lo slovacco è ormai un figlio della città, non solamente un veterano azzurro. Hamsik però è anche un campione vero, che ha deliziato il popolo del tifo con giocate, movimenti e goal da vero fuoriclasse, demolendo tutti i record della storia di questo club.
Sono 117 i goal segnati in dieci anni di Napoli, l’ultimo timbro del numero 17 azzurro al 17′ del primo tempo di Crotone-Napoli, nell’ultima gara del 2017: ci sarebbe da indagare sul ruolo della “cabala” nel calcio.
La prima perla in assoluto sfoggiata in maglia azzurra al cospetto del Cesena in Coppa Italia, il 15 Agosto del 2007. Alla Samp, invece, il primo sigillo in Serie A e sempre alla Samp (per imperscrutabile alchimia calcistica), dieci anni dopo, il gol “storico” che ha sancito il sorpasso a Re Diego, il record assoluto del numero di goal segnati nella ultranovantennale storia azzurra.
Il 17, evidentemente, ritorna come un “mantra” nell’universo partenopeo dell’ultimo decennio, reincarnato in uno slovacco dal talento assoluto e assurto a simbolo di identità ed appartenenza. MH17 è il “signum” di una felicità calcistica ritrovata, di una sfrenata gioia tinta d’azzurro.
In passato, la storia del Napoli era stata affrescata sulla scia dei lampi di grandi campioni sudamericani: da Sivori ad Altafini, da Diaz a Maradona, da Careca ad Alemao. Nella città più sudamericana d’Italia, sembrava quasi che il filo diretto con l’America Latina fosse il “trait d’union” tra il Napoli e l’impresa calcistica, come se senza un argentino o comunque un sudamericano non si potesse legare il nome del Napoli alla vittoria nel calcio.
Hamsik viene da Banská Bystrica, città della Slovacchia bagnata dalle acque fredde del fiume Hron, non da una popolosa e pericolosa favela di Buenos Aires, eppure la sua corsa zigzagante, il suo calcio pulito e geometrico, la sua cresta da rockstar americana hanno “stregato” Napoli.
E’ stato un “colpo di fulmine” con la città ed il San Paolo, sin dalla sua prima partita giocata con la maglia del Brescia, da avversario (gol e prestazione da applausi nella sconfitta per 3-1 col Napoli di Bogliacino e Calaiò).
Tra Napoli ed Hamsik è stata “chimica” istantanea, l’una si è perdutamente innamorata dell’altro e viceversa, una sceneggiatura ordita da una penna invisibile e rivoluzionaria. Già perché Hamsik ha riscritto la storia e ha sovvertito l’etichetta, molto spesso abusata, di una Napoli che non si addice ai calciatori europei e che non gratifica la sobrietà e la discrezione.
Hamsik è taciturno ed equilibrato, dedito esclusivamente al lavoro del campo, discreto come il suo popolo di onesti ed infaticabili lavoratori. Marek è l’emisfero opposto di una Napoli incline alla frenesia e all’irrazionale follia, quel maestoso teatro a cielo aperto che ne ha fatto la città della “sceneggiata”.
I dieci anni di Marek sono il “manifesto” di quella Napoli che vuole emergere dalla palude del “luogo comune”, perché ne ha abbastanza dell’ode al “genio e sregolatezza” di maradoniana memoria, che si riconosce nello spirito di sacrificio e nella sobrietà dell’ordinario.
Marekiaro ed il suo 17 hanno sdoganato Napoli da quella sua effigie scaramantica, frantumando quella cortina di ottusità figlia dello stereotipo, residuo di una tradizione che si involve in fardello ed ignoranza.
La matrice rivoluzionaria è agglutinata in questo sodalizio anticonvenzionale: la squadra del Napoli e la sua stella slovacca, la morigeratezza dell’abito mitteleuropeo che si cuce addosso alla città più smargiassa d’Italia. Marek Hamsik è il capitano, il simbolo del Napoli, non dell’Arsenal o del Liverpool, una psichedelica associazione che ridisegna l’immaginario comune.
Fra trent’anni il calcio a Napoli sarà anche e soprattutto il ricordo indelebile di questo campione slovacco, che sta riscrivendo la storia della squadra della città più “fanatica” dell’Italia del pallone. Abbiamo avuto Maradona, il Dio del football sceso in terra, il Messia che ha scelto Partenope come sua terra promessa. Ma avremo avuto anche Marek lo slovacco, il capitano silenzioso, il professionista esemplare, colui che ha battuto il record del più grande senza “colpi di testa” o dionisiache esasperazioni, ma con il silenzio ed il lavoro duro.
Tra gli innegabili meriti calcistici, Hamsik ha avuto un merito ancor più grande, far diventare a Napoli il diciassette un numero fortunato. Un numero magico, bellissimo, che tutti vogliono portare e tatuarsi addosso. Così Marek ha ribaltato il mantra di una Napoli che non vuole più abbandonarsi alla sciocca scaramanzia, che guarda con consapevolezza e ritrovata verve al futuro, a costo di seppellire convinzioni e sottoculture non più in voga.
E finalmente anche i più incrollabili scaramantici potranno scandire “Diciasette, Diciasette, Diciasette” senza temere alcuna disgrazia o scenari di vita nefasti. E vi pare poco nella patria dei corni e della scaramanzia?